Il fatto che l’emergenza “covid-19” abbia determinato l’arresto di gran parte delle attività del nostro paese, ed in particolare di quelle commerciali e produttive, ci mette di fronte ad uno scenario inaspettato e carico di incognite.
Ci chiediamo infatti quali saranno i modi per uscire da una crisi economica in cui, di fatto, già ci troviamo immersi fino al collo, e quali saranno i nuovi disagi che, per farlo, dovremo affrontare. E, ben sapendo che il nostro governo si sta accingendo a prendere delle iniziative in campo economico, non vorremmo che le difficoltà in cui già ci troviamo dovessero essere ulteriormente aggravate qualora tali iniziative non fossero le più opportune.
Ma come fare ad orientarsi per capire effettivamente in che direzione si sta andando? Come rendersi conto se, in ambito economico, una scelta che viene adottata ha come obbiettivo quello di realizzare effettivamente un bene per il paese, oppure, consapevolmente o no, quello di ottenere il suo contrario, andando ad aggravare condizioni di vita già difficili per la popolazione che in quel paese vive e lavora?
Ne parliamo qui di seguito, in forma di dialogo ed aggiungendo alcune riflessioni, riportando la conversazione avuta con l’amico Cesare Padovani (1) che già da qualche tempo studia i temi dell’economia con particolare attenzione alla questione monetaria, con l’obbiettivo di fare chiarezza su alcuni dei principali argomenti che riguardano l’attualità del dibattito economico in corso.
Si cerca in questo modo di individuare, per quanto possibile, alcuni punti di riferimento, alcune idee di base, attorno a cui poter costruire, ciascuno per proprio conto, opportuni ragionamenti. Il nostro auspicio è che tali ragionamenti diventino il più possibile autonomi, svincolati dal “sentito dire”, dagli slogan ripetuti fino allo sfinimento (nostro), e dalle “magiche formule risolutrici” con cui quotidianamente sedicenti esperti e professionisti dell’informazione cercano di convincerci, contando sul fatto che soltanto pochi oggi hanno davvero l’intenzione e la voglia di formarsi, su queste materie, una propria opinione.
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P. – Caro Cesare, spero che tutto vada bene per te, dalle tue parti, in questi giorni così tribolati. Approfitto del fatto di sentirti rubando un po’ del tuo tempo, se me lo permetti, per chiederti alcune cose che mi stanno a cuore.
Ieri ho avuto una discussione con degli amici a proposito dei nuovi debiti che lo stato sta contraendo con le istituzioni europee per affrontare l’emergenza e delle difficoltà aggiuntive che questi determineranno nel prossimo futuro. Queste difficoltà che sorgeranno sono, per quanto mi sembra di capire, indubitabili.
Dopo aver sollevato la questione che la formula degli aiuti richiesti dal nostro governo avrebbe avuto la conseguenza diretta di aumentare la sudditanza del nostro paese nei confronti dei paesi più forti economicamente, segnatamente Germania, in primis, e poi Francia, mi sono accorto che essi rifiutavano quell’idea, sostenendo che non ci fossero alternative a questa operazione.
Anzi, a proposito dell’eventualità di scegliere una via autonoma per l’Italia, essi ritenevano che ciò fosse in realtà un regresso. Che rappresentasse il ritorno ad una situazione ancor peggiore quale sarebbe quella in cui si ripristinasse una valuta monetaria nazionale, la quale sarebbe stata in passato (a detta loro) la vera origine delle attuali difficoltà del nostro paese.
C. – Con la Lira eravamo arrivati ad essere la quarta potenza economica mondiale! Basterebbe dire questo…
P. – Ho provato con loro a sostenere come le cose stessero diversamente, accennando al fatto che la crescita esponenziale del debito (in particolare quello estero) dello Stato italiano fosse intervenuta dopo che l’Euro era stato introdotto, proprio per il motivo che, essendo questo acquisito dal nostro Stato tramite prestiti a interesse, tale debito fosse andato ad aggiungersi a quello che già avevamo.
C. – Su questo argomento occorre fare una precisazione. Il debito pubblico è iniziato a crescere più rapidamente dal 1981, anno del cosiddetto divorzio tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia, in forza del quale la Banca d’Italia non era più obbligata ad “acquistare” (che termine ridicolo!) i titoli di stato rimasti invenduti, titoli per i quali fino ad allora era stato lo Stato a stabilire il prezzo (cioè l’interesse). Dal 1981 in poi, lo Stato è stato costretto a rifornirsi di denaro nel cosiddetto mercato (che sappiamo essere costituito da speculatori senza scrupoli, oltre che di piccoli risparmiatori). E da qui in seguito è stata diffusa di proposito la diceria che il debito pubblico fosse aumentato a causa delle politiche di Craxi ed altri.
Successivamente, fu avviata una politica di esterizzazione del debito pubblico, cioè il suo trasferimento a soggetti esteri, sottraendolo così via via sempre di più ai piccoli risparmiatori italiani (in sostanza le famiglie).
P. – Quindi, a quanto mi dici, il problema del debito pubblico, di cui tanto si parla e che ci “affligge”, non deriverebbe da una gestione “poco virtuosa” della spesa pubblica, di cui l’Italia viene fra l’altro accusata in sede europea, ma principalmente dal fatto che lo Stato si è privato, da un certo punto in poi, dell’emissione diretta della moneta, rivolgendosi a chiederla in prestito a soggetti privati, per giunta internazionali.
Ma per capire meglio cosa sia il debito conviene allora forse considerare che cosa sia in effetti il denaro: da dove nasca, a che cosa serva e come venga usato.
Mi sembra, a questo proposito, che in origine il denaro fosse nato come strumento di scambio di beni e servizi, pensato apposta per semplificare le cose, agevolare questi scambi, permettere alla gente di fare più cose…
C. – Il denaro è principalmente uno strumento di scambio, in forza del quale, ad esempio, con una banconota di 100 € acquisto un paio di scarpe; poi lo è di misura del valore, il che permette di asserire che quel paio di scarpe vale, cioè costa, 100 €; infine costituisce anche una riserva di valore, perché il potere d’acquisto della banconota da 100 € viene conservato nel tempo.
P. – Fin qui tutto chiaro. Quindi possiamo anche accorgerci di come, essendo uno strumento, il denaro si possa usare in tanti modi diversi. E, se ci limitiamo al livello etico, è bene sottolineare come questo denaro possa diventare strumento virtuoso di distribuzione di ricchezze o, al contrario, della loro indebita concentrazione, e divenire quindi funzionale a far nascere eventuali sudditanze di vario genere. Tra popolo e popolo oppure tra elités e gente comune.
C. – Verissimo. Infatti finora è stato usato in quest’ultimo modo, e cioè per sottomettere popoli e classi sociali, sebbene questo non sia evidente in modo immediato.
P. – In effetti non siamo abituati a pensare che il modo in cui il denaro viene messo in circolazione possa nascondere un’intenzione che tende a danneggiare chi quel denaro poi dovrà utilizzare.
Forse conviene partire, con degli esempi, da come le cose dovrebbero in teoria funzionare, per poi capire meglio la situazione attuale.
C. – Possiamo provarci. Intanto diciamo che la massa monetaria in circolazione dovrebbe essere in generale rappresentativa della ricchezza della Nazione, data dalla somma dei beni e dei servizi disponibili. Inoltre una nuova somma emessa può essere usata per generare nuova ricchezza. Questi sono due concetti che è fondamentale tenere sempre a mente. La gestione dell’emissione monetaria attiene a entrambi gli aspetti dei quali il secondo è fondamentale. Fino al 1981 era più facile per lo Stato indurre la creazione di nuova ricchezza immettendo nuovo denaro a “basso costo”. Un altro concetto base è che la moneta dovrebbe essere distribuita equamente fra i cittadini, cioè con differenze accettabili tra minimo e massimo e tale che il minimo garantisca comunque una vita dignitosa (per esempio, Adriano Olivetti aveva stabilito che nella sua azienda, l’Olivetti, lo stipendio di un manager fosse al massimo dieci volte quello dell’operaio).
P. – Chiaro. Ti chiedo però una precisazione. Quando dici “indurre la creazione di nuova ricchezza” intendi che aumentando la quantità di denaro circolante (il denaro a basso costo) si favoriscono gli investimenti, ed è investendo in nuove iniziative economiche che la ricchezza viene generata. Ho capito bene?
C. – Sì, intendevo proprio questo.
P. – Bene. Fin qui ho capito. Adesso però occorre anche capire come il divorzio tra Tesoro e la Banca d’Italia, di cui hai detto, abbia potuto portare alla situazione attuale in cui tutte le risorse disponibili pare che debbano essere impiegate per ripianare i debiti sempre crescenti, e che non bastino ancora.
C. – Adesso ci arriviamo. Le cause all’origine della situazione in cui ci troviamo, che ha la caratteristica di produrre un generale impoverimento della popolazione, sono, in effetti, molteplici.
Il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia ha portato i Titoli di Stato a essere scambiati secondo le regole del mercato, che è monopolizzato da speculatori senza scrupoli, non dimentichiamolo, e questo ha provocato un aumento della velocità di crescita del debito pubblico.
Però per capire l’inganno che si cela dietro il debito pubblico, occorre andare a considerare l’effettivo meccanismo che è alla base della creazione del denaro. Un meccanismo tale per cui il denaro viene creato dal nulla dal sistema bancario privato e immesso in circolazione attraverso prestiti a interesse. Da ciò consegue il fatto che tutto il denaro in circolazione, cioè tutto il denaro esistente, essendo in prestito a interesse, genera un debito complessivo che aumenta nel tempo ed è via via sempre più grande del denaro esistente stesso.
Ma a ben vedere, quello che il sistema bancario crea e presta è solo carta che viene (virtualmente) stampata nel momento del prestito. Il sistema bancario deve essere visto quindi come una tipografia. E la società si indebita con la tipografia che stampa il denaro (poi c’è da dire che non tutto il denaro è carta stampata, esiste anche il denaro cosiddetto elettronico o bancario o scritturale, che è costituito da un semplice conto in un registro. Ma i due tipi sono del tutto equivalenti agli effetti del potere di acquisto del titolare del conto corrente).
Quindi, considerando che il denaro immesso nell’economia da parte delle banche è in realtà carta che il sistema bancario ha fatto passare attraverso una stampante, si ha come conseguenza che:
1) Il debito che ne risulta, inteso come debito globale, è un debito di carta, perché il sistema bancario ha creato e prestato solo carta. E quindi è un debito di nulla!
2) Il debito supera sempre di più nel tempo il prestito ricevuto per via degli interessi e quindi è maggiore del denaro fisicamente esistente (che è quello in circolazione) e quindi non può essere estinto. Questo debito è dunque matematicamente e fisicamente inestinguibile.
Questo comporta che le comunità dei vari stati sono condannate a essere eternamente indebitate e quindi schiave.
Questo meccanismo di creazione della moneta è detto moneta-debito.
Esso implica che lo Stato non può creare la moneta che serve al suo funzionamento e a quello della comunità che rappresenta.
Pertanto lo Stato è costretto a procurarsi la moneta per far fronte alle sue necessità chiedendola ad altri soggetti.
Sono due i meccanismi che lo Stato ha a disposizione per procurarsi moneta: la tassazione e i prestiti da parte di terzi. Sono questi prestiti che creano il debito pubblico, che non può che aumentare nel tempo per via degli interessi.
Anche la comunità deve chiedere in prestito la moneta necessaria al suo funzionamento, e la chiede in prestito al sistema bancario (che la crea dal nulla), dando luogo al debito privato, ben più elevato di quello pubblico.
Diciamo che il debito pubblico nasce dall’impossibilità per lo Stato di creare la moneta che gli serve in aggiunta a quella che raccoglie con i contributi dei cittadini tramite la tassazione.
Detto questo è importante considerare che il debito pubblico diventa un problema reale per noi per il fatto che viene usato come “spauracchio” per introdurre più facilmente nuove tasse e per svendere gioielli di famiglia (aziende di Stato, palazzi storici, logistiche varie – per esempio gli stabili della Scuola Nazionale della Guardia di Finanza, dove fecero il G8 all’Aquila) e per tagliare i servizi (Sanità, Istruzione, Cultura, ecc.), la cosiddetta spending review.
P. – Quindi mi par di capire che l’uso non-etico dello “strumento denaro” di cui si diceva abbia preso la forma di un meccanismo finanziario che è stato scelto e studiato appositamente, anche se invece, guarda caso, ci viene di solito presentato come normale ed inevitabile…
Ma quali sono queste forme di impoverimento di cui parli che vengono, e sono state, introdotte con la scusa dell’aumento del debito?
C. – Una di queste è rappresentata, ad esempio, dall’aumento esagerato della tassazione, meccanismo con il quale il sistema decide su quanto denaro togliere alla gente. E questo ha provocato un impoverimento della popolazione e una riduzione della domanda interna, che invece è l’elemento portante di un’economia.
Un’altra iniziativa è stata la svendita di tutte le più grandi società di Stato o a partecipazione statale (ENEL, Telecom, IRI, Italtel). Famoso è stato l’episodio del Britannia: rilevanti manager e politici italiani riuniti assieme a esponenti della finanza internazionale sullo yacht Britannia della Regina d’Inghilterra nel giugno del 1992 al largo di Civitavecchia. Nel corso di quell’incontro si dice che fossero gettate le basi dello smantellamento delle grandi aziende di Stato. Di lì a poco ebbero inizio le cosiddette privatizzazioni.
In aggiunta alle privatizzazioni furono in seguito fatte azioni volte alla distruzione della piccola e media industria italiana, ricorrendo allo strumento della tassazione. Per esempio fu introdotta la tassa denominata IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive). In pratica è una tassa sul fatturato. Questa tassa ha portato nel tempo alla chiusura di molte aziende a conduzione familiare oppure alla loro delocalizzazione all’estero (questa delocalizzazione all’estero ha spesso portato anche alla distruzione della famiglia dell’imprenditore, circondato com’era nella nuova sede da dipendenti femminili molto giovani).
In definitiva, il sistema bancario può sia decidere di immettere denaro nell’economia sia sottrarlo. Quando il denaro viene sottratto si genera automaticamente recessione, povertà.
La sottrazione del denaro in circolazione può avvenire in due modi distinti. Uno è la tassazione, come abbiamo visto, che è alla luce del giorno e visibile a tutti. Poi c’è un modo nascosto e molto più incidente: il non rinnovo dei prestiti. Se un’azienda chiede 100, il circolante aumenta di 100. Quando l’azienda restituisce i 100, il circolante diminuisce di 100. A quel punto se la banca non presta altri 100 a qualcun altro (o allo stesso), il circolante diminuisce definitivamente di 100. Ecco, è questo il meccanismo subdolo di sottrazione del denaro dall’economia. In questo modo il sistema bancario induce le crisi: chiusura di aziende, disoccupazione, ecc.
Teniamo presente che il sistema bancario non è obbligato a prestare e quindi ha in mano l’economia di un paese.
P. – Da quello che dici parrebbe che ci sia stata tesa una trappola, in cui noi siamo caduti delegando le scelte a certi personaggi che avevano obbiettivi diversi rispetto a quello di preoccuparsi dell’interesse nazionale.
C. – Certo, una vera e propria trappola. Dobbiamo capire che il sistema attuale è comunque un sistema anti-uomo, anti-umano. Dovremmo tornare indietro e ripartire con regole eticamente corrette per creare un sistema che non sia basato sull’inganno e che non abbia come fine la predazione. Ora come ora, il sistema come funziona adesso è studiato per depredare la gente. La rarefazione monetaria indotta dalla tassazione e dal mancato rinnovo dei prestiti da parte del sistema bancario ha come conseguenza uno spostamento di ricchezza dai poveri ai ricchi, perché i poveri, per procurarsi denaro, devono vendere i loro beni ai ricchi. E quando si vende per necessità, in realtà si svende.
P. – Ma scegliendo di abbandonare l’Euro, inteso come moneta unica europea, e ripercorrendo la strada dell’autonomia monetaria, ci sarebbe modo di sottrarsi a questo meccanismo schiavizzante?
C. – In teoria sì, a patto che si riesca ad avere quella che tu chiami autonomia monetaria, meglio nota come sovranità monetaria. Questa consiste nel poter creare tutto il denaro che serve alla comunità e di immetterlo senza gravarlo di interesse. Le modalità di immissione dovrebbero essere le seguenti due:
1) Lo Stato crea una certa quantità di nuova moneta ΔMs e la utilizza per un investimento o per altre sue necessità, in ogni caso generando un nuova ricchezza ΔRs (ΔMs si legge “delta emme esse”, ΔRs si legge “delta erre esse”. La lettera greca delta maiuscolo si usa in matematica per indicare variazioni – incrementi o diminuzioni);
2) Lo Stato crea una certa quantità di nuova moneta ΔMp e la presta non a interesse a privati perché la investano per generare una nuova ricchezza ΔRp. Entro un determinato tempo (da valutare sulla base di vari criteri), i privati che hanno ricevuto il prestito restituiscono la somma ΔMp, che viene ripartita fra la popolazione in parti uguali o con altro criterio.
Il punto 1) è intuitivo, il punto 2) non lo è ed è stato introdotto da Auriti (2).
P. – Ma con l’immissione di nuovo denaro non si crea inflazione? Questa è una cosa che si sente spesso dire…
C. – Questa è una “leggenda metropolitana”. Questo sarebbe vero se all’immissione di nuovo denaro non corrispondesse la creazione di nuova ricchezza. Ma se questa nuova emissione corrisponde alla creazione di nuova ricchezza, allora non si crea inflazione.
P. – Be’ allora mi sembra che se fosse attuato in uno di questi due modi che hai detto il meccanismo potrebbe essere più vantaggioso rispetto a quello attuale. Quantomeno non sarebbero incoraggiate forme di speculazione già a monte dell’immissione di denaro.
Mi chiedo allora il senso che poteva avere avuto il scegliere la strada della moneta unica in un’Unione Europea dove i paesi aderenti sono molto diversi dal punto di vista economico ed indipendenti da quello governativo. Ed in cui ogni intervento finanziario operato dal singolo Stato volto ad affrontare i problemi specifici del proprio paese viene sostanzialmente impedito.
C. – È quello che mi chiedo pure io. Parlare di un’autonomia monetaria in sede UE ora come ora è una contraddizione di termini, perché l’UE è proprio basata sulla negazione di questa autonomia! Quindi non vedo come si possa affrontare questo tema all’interno della UE.
P. – Eppure la rinuncia all’autonomia monetaria non può che aver penalizzato, per quello che vedo in generale, i paesi più deboli economicamente (fondamentalmente perché privi di risorse energetiche, come lo è l’Italia) che vengono impediti a perseguire politiche economiche adeguate alle proprie possibilità, che siano più fondate sulle proprie capacità produttive che su risorse originarie.
C. – La rinuncia all’autonomia monetaria in teoria danneggia tutti, ma alcuni sono danneggiati più di altri. Il fatto che in questa UE i paesi più forti ne traggano vantaggio non significa che questo vantaggio riguardi tutti i cittadini, magari alcune categorie sono comunque lasciate indietro. Nella vera sovranità monetaria, per come la intendeva Auriti e per come secondo me dovrebbe essere intesa, a ciascun individuo deve andare un dividendo della ricchezza creata dai singoli privati (aziende e piccoli e piccolissimi imprenditori). Questo dividendo è il vero Reddito di Cittadinanza. Queste termine fu coniato da Auriti, e forse sarebbe più opportuno cambiarlo, per esempio Dividendo da Emissione Monetaria o Reddito di esistenza.
P. – L’unico motivo che potrebbe giustificare l’esistenza di un’istituzione centrale europea sarebbe allora, secondo me, che quest’autorità, con le risorse che può raccogliere da quegli stessi paesi che sono sotto il suo controllo, e sulla scorta di una visione ampia e obbiettiva di quello che accade, si facesse carico di provvedere alle varie necessità ed eventualmente ridistribuire le ricchezze laddove vi fossero paesi in condizioni di difficoltà. E questo sarebbe possibile. Ma mi chiedo: È questo che sta avvenendo?
Mi sembra piuttosto che, per fare un esempio di stretta attualità, lo stesso meccanismo europeo di stabilità (MES), di cui si parla in questi giorni, pur alludendo (quasi beffardamente) allo scopo di voler ristabilire equilibrio tra le condizioni dei diversi paesi, è stato invece predisposto ad innescare un processo di ulteriore e più grave indebitamento per quei paesi che a quello dovessero far ricorso. Il caso della Grecia, è a questo proposito, emblematico.
C.– Pienamente d’accordo, occorrerebbe una redistribuzione del reddito dagli stati più ricchi (o fasce più ricche) a quelli più poveri. Ma non mi risulta che il sistema sia pensato per funzionare in quel modo. Anzi, mi pare che sia pensato per funzionare proprio al rovescio. Il MES che tu hai citato è funzionale a eliminare ogni residuo di sovranità e di autodeterminazione proprio negli stati in difficoltà, oltretutto difficoltà create artificialmente con raggiri vari.
P. – Be’ adesso il quadro mi sembra abbastanza definito e, devo dire, poco incoraggiante.
Mi chiedo a questo punto come mai sia tanto difficile immaginare quale dovrebbe essere il giusto atteggiamento di una forma di governo, sia nazionale che europea, di fronte a un paese, o ad un gruppo di paesi, che mostrano di essere divisi per caratteristiche e per i diversi problemi che devono affrontare.
Tale atteggiamento dovrebbe essere, o dovrebbe assomigliare, io credo, a quello di un buon padre di famiglia, che sta attento a che tutti i suoi figli, che dipendono da lui, abbiano a disposizione tutto ciò che serve loro per vivere in modo sano, e crescere in armonia tra loro, per poi diventare a loro volta buoni cittadini e buoni padri.
E chi tra di essi, per qualsiasi motivo, fosse più in difficoltà diventerebbe quello maggiormente aiutato, anche dai propri fratelli che, su esempio del padre, con la loro operosità farebbero in modo che non gli venga a mancare nulla di ciò che gli è necessario.
Ma non mi pare che questo sia ciò che sta avvenendo, dato che i fatti ci mostrano, e lo abbiamo visto, come un meccanismo di sfruttamento e sopraffazione da parte di elités di controllo, sia che queste operino a livello nazionale che sovranazionale, venga costantemente ampliato ed appesantito, anziché ridotto o eliminato.
E non è neppure del tutto appropriato dire che i delegati a condurre tali politiche di sfruttamento siano espressione di una reale dinamica democratica, visto che sempre più sono organismi non elettivi (come ad esempio la commissione europea) a sostituire a livello decisionale le rappresentanze parlamentari, che vengono invece ridotte a meri organi di ratifica delle scelte già compiute in altra sede.
Ma con molta probabilità quello che sta avvenendo, il problema sociale che stiamo vivendo, nel quale l’aspetto economico non è altro che un meccanismo rivelatore, destinato cioè ad amplificarne gli effetti, è alla radice un problema etico.
E ciò che sta accadendo deriva dal fatto che la società attuale non è ancora animata a sufficienza da quei buoni sentimenti che portano a fare attenzione al bene degli altri, oltre che al proprio. Buoni sentimenti che si dovrebbero esercitare, come abbiamo visto, in una famiglia, ma anche a scala più ampia con il proprio vicinato, nel proprio paese e nel proprio lavoro.
Perché finché questa società, allo stesso modo di una famiglia in cui non vi sia armonia ed attenzione reciproca, non sarà realmente sostenuta da questi sentimenti, di fratellanza, di capacità di accettarsi per come si è e di libertà per tutti gli spiriti, non potrà esprimere alcuna forma di rappresentanza istituzionale che provveda realmente a che il bene di tutti venga assicurato.
La responsabilità di far sì che le cose cambino dunque è adesso, che ci piaccia o meno, nelle nostre mani. Perché oggi non è più il tempo di quei Re-Sacerdoti, di quei saggi iniziati che guidavano in antichità le sorti del proprio popolo in contatto ed armonia con il volere del Cielo. Ed anche quelle poche personalità che in tempi più recenti, per qualche motivo, avevano scelto di dedicare fino in fondo il proprio impegno e sé stesse per il bene del proprio paese, pensiamo ad esempio ad Enrico Mattei o ad Aldo Moro, sono state tolte di mezzo.
Adesso dobbiamo muoverci noi, ciascuno di noi, sulla scorta delle nostre esperienze e delle sofferenze che abbiamo attraversato.
E lo possiamo fare a partire da ciò che facciamo tutti giorni, anche nelle piccole cose, fino a creare le condizioni in cui nasca una società nuova e davvero capace di governarsi bene e per il bene, e che finalmente ci permetta di liberarci di quei tristi burattini che sono oggi ai vertici delle istituzioni, nazionali ed europee, che tutti i giorni si presentano, sui giornali ed in televisione, per parlarci di un mondo che in realtà non esiste.
Questo il mio pensiero su tali argomenti, caro Cesare, che volentieri condivido con te e che si rafforza anche sulla base di ciò che mi hai detto e che abbiamo visto assieme.
Ti ringrazio e ti saluto, con l’auspicio di ritrovarci presto a confrontarci su nuove ed interessanti questioni che riguardano, a volte anche drammaticamente, tutti noi.
C. – Grazie anche a te Paolo dell’opportunità che mi hai concesso per dare un contributo a chiarire concetti che sono alla base per la comprensione dei fenomeni sociali rilevanti. A presto.
NOTE:
1) Cesare Padovani (classe 1951). Già ricercatore in fisica della materia presso l’Università dell’Aquila, è studioso indipendente del problema monetario.
2) Giacinto Auriti (1923-2006) è stato docente universitario di diritto presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo. Si è occupato nell’arco di tutta la sua attività lavorativa degli aspetti giuridici dell’emissione monetaria. Ha elaborato il concetto di valore indotto della moneta ed è stato il fautore del concetto di proprietà popolare della moneta.
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