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“Il gallo ha cantato a mezzanotte, alle quattro, e poi giustamente alle 6,30. Si, il gallo stupido che non so da dove arriva ed ha pensato bene di venire a dormire sull’albero di Giuda nel mio giardino. (…) Mi chiedo, come può un gallo rifugiarsi in paese e sopratutto, proprio a casa mia? Comunque chi avesse perso un gallo bianco sappia che è qui a casa mia. Segni identificativi, canta a tutte le ore da una settimana.”
Così commentava sulla sua “bacheca” di Facebook il mio amico Pietro a proposito del gallo che si era introdotto nel giardino di casa sua e che, da qualche giorno, lo tormentava con il suo canto anche nel cuore della notte.
Ed essendo la storia dell’intrusione del gallo già di per sé divertente, con la pubblicazione della sua foto su Facebook Pietro non ha mancato di suscitare l’ilarità ed i commenti divertiti dei suoi amici che, incuriositi dalla stranezza dell’episodio, ne approfittavano per canzonarlo facendo a gara nell’inventare nuove storielle umoristiche.
È facile osservare che tra i vantaggi che ci danno oggi le nuove tecnologie vi è quello di far circolare velocemente ed efficacemente le informazioni più diverse e come i “social networks” si siano trasformati in una miniera di episodi simili a questo, raccontati nelle maniere più diverse, e destinati ad incuriosire, a stupire ed a richiamare l’attenzione in modo, per così dire leggero e “spensierato”.
Certo ci sono molti modi per avvicinarsi ai fatti della vita e si può anche dire che questo atteggiamento, questo modo di utilizzare le forme di comunicazione come strumento di puro intrattenimento è oggi abbastanza comune. Possiamo osservare come si sia affermata ormai la tendenza all’uso dei social network, è il caso appunto di Facebook, quali veri e propri diari estemporanei, corredati di immagini e filmati, di cui si cerca, a volte ossessivamente, l’apprezzamento e la condivisione.
Ma questi diari, per quanto siano destinati a raccontare episodi delle nostre vite, lo fanno in modo disorganico, come se queste vite fossero il risultato di una sommatoria di circostanze, tra loro indipendenti e liberamente interpretabili, non rispondenti ad altra regola che a quella della casualità.
È così che allora il singolo fatto che ci capita può essere valutato positivamente o negativamente a seconda che questo ci abbia portato vantaggio o svantaggio come conseguenza materiale immediata.
Ed è così che noi siamo indotti a ritenere la “fortuna” e la “sfortuna” come delle variabili “indipendenti”, se viste nella loro imprevedibilità, cui siamo costretti a sottostare e dai cui effetti non abbiamo la possibilità di sottrarci.
Ma in realtà non è affatto detto che le cose stiano così, e se, per una volta, non ci lasciamo condizionare da questo pregiudizio così diffuso, basato sull’idea della casualità, cui si associa un persistente sentimento di inquietudine e da cui nascono soltanto forme di superstizione, possiamo provare a percorrere un’altra strada per esplorare un mondo in cui si possano trovare spiegazioni sensate a quanto ci accade nella vita.
Per avventurarci lungo questo nuovo percorso occorre per prima cosa fare una specie di “passo indietro”, fermarci un attimo e provare ad immaginare l’esistenza di una “saggezza universale”, di una grande entità, che abbia, muovendo da una dimensione collocata fuori dal tempo e dallo spazio, pensato e voluto la nostra esistenza e quella di tutto ciò in cui noi ci troviamo immersi.
Proviamo poi a pensare che questa entità abbia organizzato tutto questo, tutta la realtà in cui ci troviamo, fin nei minimi dettagli, senza lasciare nulla al caso, e lo abbia fatto per il bene nostro e di tutti quanti gli esseri che sono stati creati.
Consideriamo quindi che il nostro bene coincida con la crescita del nostro essere in una certa direzione, in una visione evolutiva dai tempi molto lunghi, e che noi possiamo scegliere liberamente di praticare questo bene interagendo coi fatti della vita i quali sono predisposti per noi come su di una grandiosa scena teatrale.
Proseguendo in questa direzione, un po’ per volta, cominciamo a renderci conto che sono proprio questa scena e questi fatti che dobbiamo cercare di conoscere, senza farci distrarre dalle loro apparenze, a patto che noi vogliamo veramente agire nel modo giusto e muoverci nella direzione del bene così come questo è stato pensato per noi.
Ecco allora come il nostro sguardo, quello che dedichiamo ai fatti della vita, può trasformarsi in un esercizio di interpretazione. E come quanto più ci dedichiamo a tale esercizio, tanto più ci rendiamo conto che tutto ciò che accade è collegato, come se appartenesse ad un unico organismo di cui noi facciamo parte, e che collaboriamo al completamento di un unico “grande progetto” la cui effettiva dimensione riusciamo a mala pena ad immaginare.
Possiamo adesso provare, se lo vogliamo, a tornare alla storia raccontata da Pietro, senza questa volta fermarci alla comicità dell’episodio, ma rileggendola in altro modo e vedere se ci può dire qualcosa di più. E visto che abbiamo a che fare con un gallo occorre che, per prima cosa, ci occupiamo di questo essere e del significato che la sua “comparsa” nella nostra vita può avere per noi.
Se lo osserviamo nelle sue caratteristiche peculiari, il gallo è portatore di certe specifiche qualità che lo distinguono ai nostri occhi dagli altri animali. Nell’ “immaginario collettivo” , che deriva dall’osservazione del suo comportamento, il gallo è quell’animale che canta al mattino, è quell’essere che annuncia il sorgere di un nuovo giorno, ed il suo stesso canto, con la particolare intonazione della sua voce, hanno per noi l’effetto di un segnale preciso.
Il gallo ci dà la sveglia, ci dice che è arrivato il momento di smettere di dormire e di fare qualcosa, insistendo a chiamarci finché non lo ritiene necessario. Addirittura può mettersi a cantare anche in altri momenti della giornata, e non solo all’alba, quasi a sottolineare che il nostro sonno si è protratto troppo a lungo e che ora è proprio necessario aprire gli occhi.
Ma da quale tipo di sonno dovremmo svegliarci, visto che, almeno all’apparenza, noi non siamo tutto il giorno addormentati?
Se proseguiamo, sulla traccia di queste considerazioni, pensando all’uso che si è fatto nel tempo dell’immagine del gallo, possiamo scoprire un fatto molto particolare.
In epoca medievale, in una fase in cui una certa spiritualità profonda era viva e praticata, sui campanili delle chiese veniva posto un gallo in ferro battuto, che venne poi solo successivamente sostituito con la croce.
Quel gallo serviva a ricordare di un episodio del Vangelo che viene raccontato, quasi allo stesso modo, da tutti e quattro gli evangelisti. In quel brano delle Scritture l’apostolo Pietro (che curiosamente ha lo stesso nome del mio amico) nega per tre volte di conoscere Gesù, che era stato appena arrestato, prima che un gallo, come Gesù stesso gli aveva annunciato, iniziasse a cantare.
Il canto del gallo ricorda a Pietro di aver promesso a Gesù che lo avrebbe seguito ovunque Egli fosse andato e lo risveglia all’improvviso dallo stato di oblio in cui si era lasciato cadere.
Nel racconto evangelico quel gallo rappresentava dunque il Cristo e la sua immagine che veniva posta in cima ai campanili, era lì, con la sua presenza vigile, a ricordare agli uomini del suo messaggio di amore troppo spesso dimenticato, per far sì che essi, mentre venivano trasportati dallo scorrere dei fatti della vita, non fossero sopraffatti dal sonno della coscienza e dalle debolezze dei sensi.
Questo è quanto accadeva in passato. Questa la storia, o una delle storie, con i cui significati possiamo decidere di confrontarci.
Ma anche adesso, che i galli di ferro battuto sulla punta dei campanili non ci sono più, abbiamo visto che possono essere quelli in carne ed ossa a venire a cercarci per lanciare i loro messaggi, e sta a noi ora essere in grado di interpretarli nel modo giusto.
E che cosa avrà voluto dire quel gallo al mio amico Pietro entrando e mettendosi a cantare nel suo giardino? Questo soltanto Pietro lo può sapere, perché nessuno meglio di lui conosce il suo percorso ed è in grado di mettere in relazione tutti gli episodi che lo hanno accompagnato nel corso della sua vita.
Per quanto invece riguarda noi, se proprio non vogliamo continuare a prendere la vita “alla leggera”, possiamo intanto cominciare a guardare con nuova attenzione a quanto ci capita tutti i giorni tenendo sempre conto del fatto che nulla è senza significato.
E senza mai perdere la fiducia nel fatto che quanto ci accade è, in fondo, sempre pensato per il nostro bene, guardiamoci attorno con curiosità e lasciamoci stupire dalle meraviglie che questa vita quotidianamente ci regala, e chissà se qualche altro gallo, inaspettatamente, decida di iniziare a cantare anche per noi.
NOTE:
- Giovanni Canavesio, La negazione di S. Pietro, scena del ciclo di affreschi nel santuario di Notre-Dame des Fontaines a Briga Marittima, 1491