È stata la recente notizia delle immersioni effettuate dai palombari della marina militare italiana al largo delle coste liguri, in provincia di Savona, per recuperare materiale bellico a 60 metri di profondità, a riportare l’attenzione su quanto accadeva in quella zona di mare sul finire del 1700. In uno scenario che vedeva in corso la prima fase di un conflitto che avrebbe impegnato per diversi anni la Francia rivoluzionaria da un lato e le maggiori potenze europee dall’altro, le quali, coalizzatesi contro di essa, avrebbero avuto infine la meglio ripristinando quegli equilibri politico-economici che, per circa una trentina d’anni, erano stati messi in discussione.
La battaglia di Capo Noli, di cui quei reperti sono testimonianza, fu combattuta nel marzo del 1795 e vide di fronte per alcuni giorni una squadra navale francese comandata dall’ammiraglio Pierre Martin, partita con l’intenzione di invadere la Corsica allora in mano agli inglesi, ed una flotta composita anglo-napoletana, al comando del contrammiraglio inglese William Hotham, che aveva avuto l’incarico di intercettarla.
Il confronto, dopo alcune schermaglie iniziali, fu deciso dall’azione temeraria di un giovane capitano, al comando della nave di linea di terza classe HMS Agamemnon, che riuscì ad abbordare e quindi ad impossessarsi di due vascelli francesi, pur superiori per numero di uomini ed armamento, costringendo gli avversari a rinunciare al piano di invasione.
Nato nel 1758 in un piccolo villaggio nell’est dell’Inghilterra, Horatio Nelson, così si chiamava il giovane comandante, era riuscito ad entrare in marina molto presto, grazie all’interessamento di un suo zio capitano, e la sua passione per il mare e la navigazione fu subito evidente quando, al rientro dalle prime missioni, prese ad esercitarsi a condurre piccole imbarcazioni a vela lungo le sponde della foce del Tamigi.
Dopo aver partecipato a diverse spedizioni in America, in India e nell’Artico divenne capitano di vascello della Royal Navy all’eta di soli 20 anni.
A partire dal 1793 fu quindi destinato nel mar Mediterraneo dove, al comando dell’ Agamemnon, ebbe modo di confrontarsi con la flotta francese divenendo protagonista di una serie di episodi che ne accrebbero la popolarità in patria ed aumentarono la stima nei suoi confronti da parte dell’ammiragliato inglese.
Quello che colpiva di Nelson, cui oltre alle capacità marinaresche non mancava il coraggio del combattente, era la dedizione con cui egli si applicava all’attività di comando, che lo portava a trovarsi sempre in “prima linea” nel corso delle battaglie che gli capitava di ingaggiare. E fu proprio questa sua attitudine che lo induceva ad aggredire il nemico direttamente, anche al di fuori delle regole consolidate, prima che questo avesse il tempo di organizzare la propria difesa, che gli valse il soprannome assegnatogli da John Jervis, primo Lord dell’ammiragliato e suo ex-comandante, di “natural born predator” (= predatore nato).
Ma fu probabilmente anche a causa di questa sua propensione a gettarsi nella mischia senza “risparmio” che, nel corso della sua rapida carriera, si trovò prima a perdere la vista dell’occhio destro e poi a vedersi amputare completamente il braccio destro a seguito di altrettante ferite riportate in combattimento.
L’elenco delle imprese compiute e delle vittorie riportate che lo resero protagonista in patria è abbastanza esteso, e comprende tra l’altro l’assedio di Tolone, del 1793, la battaglia di Capo San Vincenzo, del 1797, in cui pur di condurre direttamente l’attacco Nelson contravvenne agli ordini superiori, e la battaglia del Nilo, del 1798, durante la quale annientò quasi completamente la flotta francese che aveva trasportato Napoleone in Egitto e che si trovava ancorata, al riparo, nella baia di Abukir.
Nel 1805, arrivato al culmine della popolarità con il grado di ammiraglio e nonostante alcune “turbolenze” verificatesi nella propria vita privata che rischiavano di offuscarne l’immagine (1), Nelson ricevette l’incarico di fronteggiare la flotta congiunta franco-spagnola che avrebbe dovuto appoggiare l’invasione dell’Inghilterra progettata da Napoleone.
Anche in quell’occasione, passata alla storia con il nome di “battaglia di Trafalgar”, riuscì a prevalere sugli avversari, ed aprì lo scontro lanciandosi con la propria nave, l’ HMS Victory, in mezzo alle linee nemiche facendosi seguire dal resto della flotta inglese, che ne uscì vincitrice pur essendo inferiore nel numero e nei mezzi a disposizione.
Questa volta, però, il prezzo che dovette pagare per l’ennesima sfida lanciata al proprio destino fu il più alto, e perdette la vita sul ponte di comando della sua ammiraglia colpito al petto dal fuoco di un fuciliere francese.
Dopo Trafalgar, ed anche per aver con essa sventato il pericolo dell’invasione francese, in Inghilterra Nelson fu subito celebrato come un eroe nazionale, impersonando il massimo esempio del servitore della patria disposto a sacrificare la vita in difesa del proprio paese.
Ma proprio in questa sua dedizione alla “causa nazionale”, in questa sua disponibilità al sacrificio in nome di un interesse superiore sta forse un aspetto dell’immagine di Nelson su cui vale la pena di soffermarsi.
A chi era rivolta infatti questa “dedizione” che Nelson mostrava e che lo portò, fra l’altro, ad issare sul pennone più alto della propria nave prima dell’ultima battaglia una scritta che recitava: “England expects that every man will do his duty” (= L’Inghilterra si aspetta che ogni uomo farà il proprio dovere)?
Di certo, l’ambizione personale che evidentemente lo animava nei suoi comportamenti estremi, ebbe un ruolo nel formare il personaggio che Nelson impersonò, ma a questa “spinta” occorre aggiungere quella data dall’idea di mettersi al servizio di un paese attento, prima di tutto, alla realizzazione delle proprie mire espansionistiche e del dominio coloniale.
“Difendere l’Inghilterra”, a quei tempi, nonostante lo “spauracchio” rappresentato da Napoleone, voleva dire altro rispetto al suo significato letterale. Significava piuttosto assicurare al paese la possibilità di condurre tranquillamente la propria politica coloniale, che era alla base della sua prosperità economica e fonte sicura di ricchezze “a buon mercato”.
Ed in questo quadro era proprio la Royal Navy il “braccio operativo” di questa politica aggressiva verso l’esterno condotta dall’Inghilterra, sia perché garantiva la sicurezza del transito ai suoi convogli commerciali, sia perché appoggiava direttamente le operazioni di presa di possesso dei domini d’oltremare favorendone la stabilità in chiave poliziesca.
Con il compimento del proprio dovere, Nelson, serviva dunque un paese che non era tanto, se non in minima parte, l’espressione del bene comune dei suoi cittadini, quanto piuttosto un’entità di dominio, rappresentata dal re, che si apprestava a consolidare il proprio ruolo conquistato di prima potenza mondiale e di cui la marina da guerra era il principale strumento.
Ecco dunque spiegato il successo che ebbe, da subito, Horatio Nelson, rappresentato ufficialmente come eroe nazionale, nel suo vero ruolo, non ufficiale ma effettivo, di massima espressione, fino all’ultimo sacrificio, di servitore dell’Impero.
NOTE:
1) Nelson lasciò la moglie, Frances Nisbet, dopo aver instaurato una relazione con un’altra donna, Emma Hamilton, a sua volta già sposata, da cui ebbe in seguito una figlia.