«La sapienza di questo mondo è follia davanti a Dio» (1)
Se proprio si vuole parlare di ciò che accadde in Palestina attorno alla figura di Gesù di Nazareth occorre farlo con grande cautela.
Dico questo perché ci troviamo in una fase storica in cui molti si sentono autorizzati ad elaborare strane teorie riguardanti la nascita e la vita di Gesù ed a produrre fantasiose ricostruzioni di quanto accadde duemila anni fa nei dintorni di Gerusalemme.
Naturalmente si tratta in massima parte di ricostruzioni che, nonostante le giustificazioni, i collegamenti e le deduzioni che vengono addotte, sono pressoché prive di ogni fondamento.
Diciamo infatti subito che non vi sono tracce storiche lasciate da Gesù di Nazareth in base a cui costruire qualsiasi racconto, al di fuori di alcune testimonianze tramandate per iscritto, fra cui quelle lasciate dai suoi discepoli che, come sappiamo, sono state raccolte nel Nuovo Testamento.
E dall’altra parte, anche i tentativi operati da più parti, di leggere ed interpretare i Vangeli come se si trattasse di semplici testi di cronaca, non fa che allontanare il lettore dalla comprensione effettiva della vicenda di Gesù e di ciò che è ad essa collegato.
Ancora una volta ci troviamo di fronte alle visioni parziali (e quindi distorte) della realtà generate, spesso inconsapevolmente, dalla cultura materialista, che, limitandosi a considerare reale ciò che appare e viene descritto sul suo piano fisico, continua a non cogliere significati e cause di ciò che avviene sotto i propri occhi.
Allo stesso modo assistiamo, in campo religioso, al pesante tentativo tutt’ora in atto di rimozione dello Spirito, che viene messo in pratica qui come in ogni altro campo di conoscenza, in nome di una presunta ricerca di maggior oggettività e dell’abbandono di ogni dogmatismo.
Tutto ciò avviene chiaramente in base ad un preciso intento di alcuni e di fronte all’inconsapevolezza della maggior parte degli altri, la quale non si accorge, né si preoccupa, di come tale atteggiamento contraddica in realtà la natura stessa del conoscere.
La conoscenza ha, infatti, di per sé stessa carattere sacro (si tratta in effetti di un’essere spirituale (2)), ed il conoscere si attua nel disvelamento di verità di ordine superiore generate da coscienze elevatissime operanti nella dimensione divina.
Ne consegue che il dis-conoscere la natura divina del creato e delle sue trasformazioni equivale a costruire una barriera invalicabile tra gli uomini e la verità delle cose, oltre a mantenere gli uomini stessi nell’inconsapevolezza della loro natura e del senso profondo della loro esistenza terrena.
L’interpretazione corretta dei Vangeli, che resta dunque la via maestra per conoscere gli eventi legati alla venuta del Cristo sulla terra, richiede quindi innanzitutto un lavoro sulla coscienza.
Il riuscire a decifrare il senso nascosto di un racconto che appare, il più delle volte, qualcosa di simile ad una favola incomprensibile, richiede un preliminare lavoro di conoscenza dell’interiorità umana, ed una paziente ricostruzione della storia cosmica dell’anima (non solo terrena) sostenuta dalla fiducia (o fede) nelle sue capacità di crescita ed evoluzione.
Occorre quindi porsi di fronte all’idea che ciò che è contenuto nei Vangeli sia un’insieme di immagini e racconti che rimandano ad una realtà più ampia e profonda.
Occorre cioè aver presente che quelle descrizioni di fatti accaduti sulla terra duemila anni fa presuppongono l’esistenza di una realtà spirituale che, nel suo divenire, di quei fatti è stata la vera causa, e che sola permette di comprendere il senso e l’importanza dell’intera vicenda umana e di quella terrena.
È quindi dallo studio della realtà spirituale e del suo divenire che occorre partire per arrivare a riconoscere il significato vero dei testi sacri, ed anche, eventualmente, a sapere qualcosa di più oltre a quanto descritto in quei testi.
– O –
La serie di conferenze tenute da Rudolf Steiner sul tema del Quinto Vangelo, nel secondo decennio del 1900, ha per oggetto appunto l’ampliamento della conoscenza dei fatti riguardanti le vicende di Gesù di Nazareth, ed ha per obbiettivo quello di rendere tali fatti maggiormente comprensibili dando un’adeguata spiegazione della centralità che essi assumono nella storia evolutiva dell’umanità. (3)
Steiner accenna in queste conferenze al metodo della ricerca spirituale occulta, e della possibilità di mettersi in contatto, in modo vivente, con le anime dei personaggi del passato di cui si intende ricostruire le vicende.
Seguendo il suo lavoro, fondato su di una consolidata attività di ricercatore spirituale e di sperimentate capacità chiaroveggenti, si entra così in contatto direttamente con la vita di sentimento di un Gesù ancora giovinetto e di coloro che vivevano accanto a lui.
Lo si ritrova, ancora dodicenne, impegnato in discussioni coi dottori della legge, che lo attorniavano mentre si intratteneva nel tempio di Gerusalemme.
Lo si incontra sedicenne, allorché, resosi conto della perdita di contatto ormai avvenuta tra i rappresentanti dell’antica cultura ebraica e la voce dell’ispirazione divina, un tempo ascoltata dai profeti, iniziò ad assumere un atteggiamento taciturno, ed a vivere interiormente uno stato di profonda amarezza per la condizione umana.
Vi sono poi descritte le esperienze vissute dal giovane Gesù presso i luoghi di culto pagani. Le visioni da lui avute del decadimento degli antichi riti, divenuti ormai soltanto occasioni in cui il popolo restava vittima di possessioni demoniache.
Quindi, attorno ai 25 anni, lo si vede frequentare la comunità degli esseni, una comunità ristretta e chiusa in sé stessa, basata su di una rigorosa disciplina della vita dell’anima.
Fu qui che Gesù incontrò Giovanni Battista in età adulta, colui che di lì a pochi anni lo battezzerà nelle acque del fiume Giordano.
Anche presso gli esseni Gesù comprese come la via della salvezza per il popolo fosse un’altra ripetto a quella lì perseguita. E che la segregazione del culto praticata dagli esseni producesse in realtà per essi soltanto l’illusione dell’altezza spirituale, abbandonando invece gli esclusi ad un destino di perdizione.
A colloquio con sua madre, Maria, rivelò ad essa, in uno stato di vera comunione, come la sua anima, pur colma di sapienza fosse afflitta dal dolore, derivato dalle sue recenti esperienze.
Tali esperienze gli avevano mostrato il popolo, ormai privo della capacità di ascoltare la saggezza antica, non più in grado di comprendere nuovi messaggi di speranza.
Ogni via di comunicazione tra gli uomini ed il mondo divino – spirituale gli pareva, ormai, forse definitivamentemente preclusa.
All’età di trent’anni, chiamata all’evento del battesimo sul fiume Giordano l’anima di Gesù era ormai pronta ad accogliere l’entità spirituale del Cristo, che discese quel giorno ad incarnarsi nel suo corpo.
Il Cristo avrebbe vissuto in quel corpo altri tre anni: quelli della predicazione, della morte in croce e della risurrezione.
Sono quelli i tre anni in cui l’umanità ha visto, e che noi ancora possiamo rivedere e sentire nella nostra anima, un Dio farsi uomo.
Un Dio discendere dalle più alte gerarchie per vivere un destino diverso, accanto alle anime degli uomini che Lui stesso aveva creato.
Fattosi carico delle esperienze di dolore vissute negli anni precedenti dall’individualità presente nel Gesù di Nazareth, quel Dio solare percorse un cammino di sofferenza infinita, discendendo dalla pienezza della potenza divina, fino all’impotenza dell’uomo crocifisso per mano di un popolo inconsapevole.
Fu però proprio quell’immane sofferenza a generare lo Spirito, che alla Pentecoste si riversò sui discepoli, su coloro cioè che, avendolo conosciuto, avevano cominciato a seguirlo.
“Da quel dolore nacque l’amore cosmico onnioperante che al battesimo nel Giordano discese dalle sfere celesti ultraterrene nella sfera terrena, che si fece simile all’uomo, simile al corpo umano, che percorse l’infinita sofferenza, quale nessun pensare umano può immaginare, che sperimentò il momento della massima impotenza divina, per generare l’impulso che riconosciamo nella successiva evoluzione dell’umanità come l’impulso del Cristo”. (4)
– O –
Steiner ci parla poi della difficoltà che oggi l’umanità incontra nell’accogliere questi argomenti e farli propri, oltre alla difficoltà intrinseca di trovare un linguaggio adeguato per parlarne.
Oggi nasce questo problema.
«Il Padre sacrificò il Figlio per la salvezza dell’umanità» è l’espressione usata in passato dal cristianesimo popolare, ci dice Steiner, per esprimere sinteticamente ed efficacemente l’evento di Palestina.
E di li’ si potrebbe ripartire aggiungendo spiegazioni e chiarimenti per un pubblico che non accetta più di vivere accanto ad enigmi e misteri.
Fin’ora il cristianesimo si è diffuso per “forza propria”, senza cioè che fosse necessaria una adeguata comprensione di ciò che ha comportato, in termini di cambiamento, la discesa di Cristo in terra.
Oggi, nell’età micheliana della coscienza, la situazione è cambiata ed un nuova importante responsabilità è sorta per tutti noi:
«Il Cristo apparve, e il suo impulso agì come un fatto.
(…) Agì per quello che era, non per quel che era stato compreso. Ma sarà sempre più necessario che gli uomini imparino a comprendere il Cristo che penetrò nell’aura della Terra attraverso i corpi di Gesù di Nazareth, e così nel divenire vivente degli uomini.» (5)
NOTE :
1) S. Paolo – 1 Cor. 3-19
2) La Sophia, veniva considarata in antichità la dea della conoscenza.
3) Rudolf Steiner, «Il Quinto Vangelo», ed. Antroposofica, Milano, 2016.
4) Rudolf Steiner, ibid. pag. 49-50.
5) Rudolf Steiner, ibid. pag. 139.
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