Tag
Quando si ha la fortuna di avvicinarsi, lontani da obblighi scolastici, liberamente ed animati da sincero interesse, all’arte antica, non si può che rimanere stupefatti dalla sua incredibile bellezza.
Ciò avviene anche perché oggi, per una serie di motivi che sarebbe lungo spiegare qui, non siamo più così abituati a collegare l’arte con la bellezza, dovendo invece d’altra parte, e piuttosto spesso, sopportare la presenza di oggetti, opere ed edifici alla cui pretesa artisticità non corrisponde affatto bellezza ma facilmente il suo contrario.
Eppure la bellezza continua, nonostante tutto, ad esercitare su di noi la sua attrazione. E forse per il fatto di essere così connaturata con il nostro essere più profondo, anche di fronte agli “strani” condizionamenti orchestrati dalla cultura oggi dominante (1), essa fa in modo di farci riconoscere nell’arte del passato ciò che di sublime e di sacro, con essa, è giunto fino a noi.
La bellezza, nell’arte dell’antico Egitto, aveva in sé qualcosa di sovrumano.
Tutto (colori, forme, materiali) nelle maschere dorate dei faraoni faceva pensare all’esistenza di una dimensione superiore da cui, allo stesso modo della precisione con cui venivano assemblati i colossali blocchi in pietra dei loro monumenti, provenivano le espressioni di quei volti. Un’espressione distaccata e serena, in cui gli sguardi, limpidi ed estatici, erano intenti ad osservare desiderate e misteriose lontananze.
L’arte egizia è stata l’arte sacra per definizione. Ad essa tutte le culture successive hanno fatto esplicito riferimento, attingendo ove possibile da quelle conoscenze la capacità di trarre, dalla grezza materia, sublimi immagini provenienti da un mondo superiore.
Così è stato quindi per i diversi popoli del mediterraneo, e, fra essi, anche per i Tirreni, gli antichi Etruschi, che avevano con gli egiziani forti analogie non soltanto in campo artistico.
Ed partire da quelle corrispondenze esistenti nella vasta cosmologia, espressa con chiarezza e minuziosamente nelle decorazioni a corredo del culto dei defunti, gli Etruschi avevano allo stesso modo conservato nella rappresentazione dei volti umani quello stesso carattere di superiore armonia, con cui si esprimeva una visione tesa a riconoscere, ed a far riconoscere nell’arte, la testimonianza di un rapporto diretto esistente con il mondo dello Spirito.
E sono proprio lo sguardo luminoso ed il volto sorridente di quelle antiche statue, che la storia dell’arte ci ha descritto come “sorriso arcaico”, a farci riconoscere la capacità che l’uomo-artista del passato, certamente “iniziato” nelle scuole misteriche di derivazione egizia, aveva di esprimere, nella sua arte, una bellezza per certi versi “incorruttibile”. Una bellezza che ci parla ancora oggi di una dimensione “altra”, che gli uomini di allora intravedevano, e che riconoscevano quale luogo di un esistere non disturbato dal disordine della materia, da cui guide superiori assistevano gli uomini diffondendo la loro luce rassicurante.
Ma quella luce, che nel corso di millenni aveva brillato negli occhi scolpiti di quelle grandiose statue era destinata, come se fosse previsto da un copione già scritto, a cominciare a spegnersi.
L’arte, accompagnando gli uomini nel corso della loro evoluzione, avrebbe spostato, nell’arco di pochi secoli, la propria attenzione dal mondo divino, fino ad allora rappresentato a contatto con la realtà umana, ad un mondo particolare, più vicino agli uomini e ad essi più circoscritto. Un mondo abitato da esseri che andavano conosciuti e studiati, sviluppando la capacità di poterli controllare. L’arte stava iniziando allora ad occuparsi del mondo del pensiero e dell’interiorità umani.
La civiltà della Grecia arcaica, sopravvenuta ad un lungo periodo di tribolazioni e conflitti dopo che i popoli micenei erano entrati in contatto con l’antica cultura cretese assorbendone i caratteri più elevati, manifesta allora con la sua arte il primo passo appena compiuto nella nuova direzione.
Al volto sorridente del Kouròs e della Korè, le giovani figure maschili e femminili raffigurate nella pietra, che diventano archetipiche nel primo periodo dell’arte greca, si accompagna adesso una rappresentazione più dettagliata ed accurata dell’anatomia umana, a testimonianza della progressiva presa di coscienza dell’appartenenza dell’uomo al mondo terreno, che inizia ad essere considerato e descritto con tutte le sue particolarità, viste però come regolate da specifiche leggi.
La ricerca della mimesis, la cosiddetta imitazione della natura, non è infatti esercizio fine a sé stesso, ma sta ad indicare il ruolo assunto dall’attività artistica nell’aiutare a far riconoscere l’esistenza di leggi superiori nascoste nella stessa natura (anche umana). Di leggi cioè che servissero di riferimento agli uomini nel proprio cammino intrapreso adesso in autonomia rispetto a quanto avveniva in precedenza. Un cammino non più guidato dalla provvidenziale presenza delle divinità, che fino ad allora avevano condotto, agendo dall’esterno, un’umanità ancora bambina e non in grado di reggersi, da sola, sulle proprie gambe.
Alla luce diretta degli dei, che si rifletteva negli occhi rappresentati da un’umanità antica si sostituisce adesso l’esercizio del pensiero, che rende a poco a poco gli uomini in grado di riconoscere da soli quelle leggi divine e regolatrici del cosmo, e di rappresentarle nei corpi e nei manufatti attraverso la ricerca di una bellezza superiore, e perciò archetipica, racchiusa nella forma.
E con lo studio approfondito della “proporzione”, che gli artisti greci conducono in quest’epoca, si ha esattamente il senso della ricerca di ciò che è universale dietro alla infinita singolarità della materia. Della scoperta cioè di quei legami necessari fra le parti che determinano, tramite proporzionali corrispondenze, l’unità della forma archetipica, e che permettono di tenere ancorata l’individualità dell’essere umano, che inizia ad avventurarsi per conoscere autonomamente il mondo, alla visione del progetto divino.
Nei suoi successivi sviluppi l’arte greca mostra con chiarezza l’approfondirsi di queste ricerche e della loro costante evoluzione, mostrandoceli in un’appassionante sequenza di immagini che rispecchiano la visione sempre più definita e varia di un uomo divenuto progressivamente più consapevole del proprio stato di coscienza.
In epoca classica è lo “stile severo”, denominazione che discende dalla serietà dei visi rappresentati, che ci segnala come l’antico sorriso arcaico abbia lasciato il posto ad un atteggiamento di attenzione quasi preoccupata, espressione di un’attività interiore, riflessiva, che adesso è in corso.
Nell’ Auriga di Delfi, statua in bronzo del V secolo, è infatti evidente come l’impegno dell’uomo nel controllare i cavalli (che rappresentano appunto le attività di pensiero) sia al centro del suo lavoro, e come anch’egli sia centrato nel suo atteggiamento e presente a sé stesso, divenendo pertanto figura archetipica di un processo sviluppatosi in quell’epoca e rappresentante di una nuova nascente cultura.
La cultura greca (ed in seguito romana) sarà infatti quella in cui la capacità razionale-umana, facoltà che rende l’uomo capace di organizzare autonomamente la propria vita e di auto-osservarsi, si svilupperà maggiormente, così come ampiamente testimoniato dalla nascita del pensiero filosofico che avviene proprio in quel medesimo contesto.
La bellezza di quest’arte, che è sempre rimasta il tratto comune tra le diverse fasi dell’arte greca come se si trattasse di un requisito indispensabile, inizia in seguito a calarsi ed a differenziarsi sempre più nelle varie attività umane, e passando attraverso le mani di artisti diversi tra di loro, sembra quasi declinare i successivi sviluppi di una storia interiore dell’uomo che stava per giungere a compimento.
L’attenta ponderazione (2) di Policleto, che si sofferma sui rapporti duali presenti nel fisico (ma anche nell’anima) dell’uomo, sta accanto al geometrico equilibrio del Discobolo di Mirone, che a sua volta mette direttamente a confronto, al pari di vere e proprie forze interiori, la semi-animalità di Marsia con la statuaria saggezza di Atena, la dea senza dubbio più importante nella visione cosmologica del mondo greco.
Con Prassitele la ricerca artistica si diffonde ulteriormente nello studio dell’uomo in rapporto al suo ambiente, abbandonando l’equilibrio individuale della figura umana ed introducendo un’articolazione dinamica tra le varie parti della composizione che entrano tutte in gioco, come nell’ Apollo e nell’ Hermes con Dioniso bambino.
E quando lo stesso Prassitele si rivolge alla bellezza femminile lo fa non più per evidenziarne gli aspetti ideali in rapporto alla condizione umana, ma per riconoscerne la sensualità tutta terrena nella sua Afrodite Cnidia, per la cui esecuzione pare si fosse ispirato direttamente alla sua amante Frine, agiata e conosciuta prostituta ateniese.
Sempre più lontana dai suoi modelli di partenza, l’arte greca più tarda si sofferma sui sentimenti, proseguendo così la sua indagine sull’interiorità umana, quasi a voler sottolineare come le diverse passioni vadano conosciute a fondo perché possano poi essere tenute in controllo, utilizzando proprio quella facoltà razionale che si sta formando in quella fase cruciale della storia umana.
Ecco allora comparire la tensione emotiva che vibra letteralmente nelle forme avvolgenti delle sculture di Skopas, oppure la rassegnata sofferenza che trova espressione nel Pugile a riposo, per arrivare, in età ellenistica, alla tensione drammatica del Gruppo del Laocoonte ed all’aerea bellezza, espressa quasi con l’annullamento del proprio peso, della celeberrima Nike di Samotracia.
Così l’arte figurativa greca, operando una sintesi tra le culture più elevate che si espressero nell’area mediterranea durante il primo millennio avanti Cristo, completa il proprio percorso, accompagnando l’umanità più avanzata alla scoperta della propria anima, dando espressione alle capacità di auto-osservazione e di pensiero che allora si stavano affermando.
E lo fa riprendendo, come se si trattasse di una poderosa e vasta eco, la grandiosa opera anticipatrice che Omero aveva prodotto secoli prima nel campo della poesia epica, e venendo accompagnata poi, al livello della diretta azione sociale, dal diffondersi e dall’affermarsi quasi contemporaneo del genere teatrale della tragedia greca.
Siamo dunque al cospetto di una storia artistica imponente e di grande importanza per la comprensione del destino umano, che però tuttavia ci mostra nel suo proseguire come là dove giunsero i Greci, ed i popoli che li precedettero sulla scena del mediterraneo precristiano, non poterono arrivare i Romani, che si limitarono invece, come sappiamo, a copiare ed a saccheggiare un patrimonio di cui cercarono di impossessarsi riducendolo a mero simulacro.
Essi dettero il via, utilizzando strumentalmente le forme mutuate dalla cultura classica ed ellenistica a scopo celebrativo delle proprie mire espansionistiche, ad un uso improprio dell’attività artistica che, possiamo aggiungere, sta conquistando nella nostra epoca il suo massimo livello di espressione.
Anche per questo motivo compete dunque a noi, oggi, ricordare l’esistenza di quel legame, che abbiamo visto manifestarsi nelle opere del passato, tra bellezza, verità ed etica elevata, di cui gran parte dell’arte antica costituisce la testimonianza più alta e nobile, e che ci attendiamo possa tornare ad essere presente, non appena sarà possibile, nell’arte del futuro.
NOTE:
1) Mi riferisco qui alle varie posizioni culturali formatesi attorno alle indicazioni date dalla critica dell’arte nel corso dell’ultimo secolo che, a partire dalla valorizzazione incondizionata dell’opera delle cosiddette “avanguardie storiche”, sono giunte progressivamente a comprendere nell’ambito artistico esperienze che, con maggior consistenza a partire dal secondo dopoguerra, hanno abbandonato del tutto la ricerca della qualità figurativa ed espressiva dell’opera per trasferirsi nel campo della rappresentazione estemporanea, provocatoria, ed intellettualistica, sdoganando di fatto e diffondendo un’idea del tutto deformata delle competenze e del ruolo dell’artista nella società.
2) Principio compositivo in base al quale si determina una sorta di equilibrio tra i pesi delle varie parti della composizione.
ARGOMENTI CORRELATI:
L’ARTE E IL PRINCIPIO DI AUTORITÀ – L’immagine dell’Impero nella Roma antica.
QUANDO IL CIELO DIVENNE D’ORO – Il miracolo dei colori nell’arte paleocristiana.
L’ARTE DEL MEDIOEVO E LA NASCITA DELLO SPIRITO.
LA PROSPETTIVA DEL RINASCIMENTO – Il nuovo sguardo sul mondo nell’arte del XV secolo.
LA RICERCA DELL’ASSOLUTO – L’arte dei grandi maestri tra quattro e cinquecento.
LA CADUTA NELLA MATERIA – L’arte del seicento e l’attualità di Caravaggio.
TRA OGGETTIVITÀ E FINZIONE – Rococò e vedutismo nell’arte del settecento.