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Arte, divino femminile, Duccio di Buoninsegna, Madonna del Latte, Madonna di Campagna, Maria, Spirito
Pare che nel XIII secolo, in una cappella costruita nei pressi di Suna, nell’attuale comune di Verbania, fosse custodita una Madonna del Latte, che attirava molti pellegrini.
Oggi, al posto di quella cappella, sorge una chiesa cinquecentesca detta Madonna di Campagna, in cui è ancora possibile ammirare una Madonna del Latte sopra ad un altare laterale, circondata da dipinti e decorazioni più recenti.
Si tratta di un’opera poco nota, ma certamente di grande bellezza, tale da risaltare decisamente rispetto al restante complesso decorativo più tardo presente nella chiesa.
Anche la sua fattura si presenta di grande pregio, a partire dalle preziose campiture in oro con cui sono decorate la corona e l’aureola della Vergine, come pure l’aureola e gli abiti del Bambino.
Riguardo al tema affrontato nel dipinto, quello della madre che allatta il figlio, si può dire che, seppure questo sia abbastanza ricorrente nell’iconografia medievale, di esso non viene correntemente data un’interpretazione completa, limitandosi a considerarlo una rappresentazione più o meno realistica dell’accudimento materno.
Se però in questo caso si osserva obbiettivamente il dipinto, si nota come il bimbo sia rappresentato in piedi, in posizione eretta, in grembo alla madre; e come il suo atteggiamento sia volitivo, e si discosti da quello di un lattante, che normalmente partecipa con tutto il suo essere all’atto del nutrirsi.
Qui il Bambino è certamente, il linea con il racconto evangelico, una rappresentazione del Gesù appena nato, ma ci appare anche, e soprattutto, come l’incarnazione di uno Spirito in crescita che manifesta la sua origine divina.
Ha un’aureola dorata su cui si intravede la Croce Rossa, simbolo del Cristo, che ha il senso di preludere al suo percorso terreno di sacrificio e di risurrezione.
I suoi abiti mostrano, per ricercatezza e fattura, la regalità della sua figura.
Egli si pone in relazione con la Madre in modo non passivo, assumendo il suo latte ed afferrando, con la mano sinistra, il lembo del suo mantello.
Maria, per parte sua, ha nell’espressione del viso, serena ed indagatrice, il segno della propria regalità, che si rafforza per la presenza della corona a tre apici, che è a sua volta simbolo dell’ordinamento cosmico trinitario cui ella appartiene.
Maria è madre del Bambino e Regina degli angeli, che sempre la circondano e la servono, così come appare in quella curiosa raffigurazione aggiunta successivamente che fa da contorno al dipinto.
Maria è anche l’immagine cristiana della Sophia, la dea greca della conoscenza.
È colei che detiene la saggezza vera, che trapela dalla serietà del suo sguardo e che è data dalla capacità di vedere simultaneamente la realtà visibile e quella invisibile.
Ed è proprio di questa saggezza che lo spirito nuovo, incarnatosi con tutte le qualità maturatesi in un’altra dimensione, ha bisogno per crescere e portare a compimento l’esperienza terrena.
Tra le due entità divine qui rappresentate, quella maschile e quella femminile, nasce quindi una relazione complessa. Si crea un’interazione ed uno scambio reciproco di qualità.
La saggezza nutre lo spirito. Gli permette di crescere e di muoversi nel mondo.
Se non ci fosse la conoscenza lo spirito non potrebbe svolgere il suo compito. Senza sapere come stanno le cose lo spirito non potrebbe compiere la sua missione : non potrebbe portare il bene nel mondo.
Lo spirito, rappresentato dal Bambino, colma a sua volta la saggezza della sua essenza, infondendo ad essa la più pura voglia di bene.
Va detto a questo proposito, per chiarire quanto qui sostenuto, che nell’iconografia sacra gli abiti, i mantelli ed i tessuti in generale rappresentano i pensieri umani. I pensieri vengono, immaginativamente, tessuti allo stesso modo in cui ciò avviene per la stoffa.
E dunque qui il Bambino stringe il mantello della madre all’altezza del cuore, infondendovi l’amore puro di cui esso è fatto.
La madre sfiora, con la sua mano sinistra, il cuore del fanciullo, quasi a voler accogliere ancora più intensamente l’essenza amorosa di cui il figlio è fatto.
Così l’amore si riversa nei pensieri, nello stesso momento in cui la saggezza cerca nell’amore quella forza che riconosce necessaria al proprio esistere.
– O –
In una chiesa del centro Italia, il Duomo di Massa Marittima (Gr), troviamo esposta una famosa “Maestà” di Duccio di Buoninsegna, datata 1316.
Si tratta di un frammento superstite di un più ampio complesso pittorico, probabilmente un tempo destinato ad essere posto sopra l’altare.
Un complesso che era simile a quello realizzato per il duomo di Siena dallo stesso Duccio qualche anno prima, ma diverso nei particolari.
Osservando qui le due figure centrali si nota, di nuovo con evidenza, il gesto caratteristico del bambino che afferra il lembo del vestito della madre e se lo porta al petto.
La madre, a sua volta, accondiscende all’intenzione del figlio e quasi ne accompagna la mano, guidandola quel tanto che basta.
Maria è anche qui chiaramente la rappresentazione tipica della saggezza cosmica, della Sophia, avvolta nel suo manto, azzurro come il cielo, ed impreziosito dalle stelle ad otto raggi, poste una sulla spalla ed una sul capo.
Maria è allo stesso tempo quell’essere divino che permette allo spirito di incarnarsi e di scendere, ancora bambino, sulla terra. Ella è colei che accoglie e protegge. È l’anima umana riconosciuta nel suo livello più elevato, cui è possibile giungere al termine di lungo cammino di purificazione e crescita.
Lo spirito è il bimbo fatto di pura essenza d’amore.
Egli è colui che permette alla saggezza di “tessere” pensieri amorosi. È il bambino che vive in noi e che ci permette di trasformare la conoscenza in azione operativa volta al bene.
– O –
Anche Duccio affronta dunque il tema dei due aspetti del divino, quello maschile e quello femminile, che si confrontano per definire lo spazio della crescita umana.
Giunto al termine della propria attività artistica (morirà due anni dopo) Duccio è in grado di interpretarlo utilizzando immagini archetipiche e mettendole in relazione tra loro con grande precisione.
Al pari dell’anonimo maestro di Verbania, e di tanti altri a lui affini, egli conosce e sa trasmettere in forma artistica immagini provenienti da una sapienza spirituale profonda, che è tutt’ora in grado di riverberare, con grande efficacia, nelle zone più scure della nostra interiorità.
Anche oggi, grazie a ciò che ci arriva dal passato, ci è quindi possibile veder rappresentata l’indissolubilità di un legame antico. La reciproca dipendenza di due princìpi generatori di vita, la cui polarità sta alla base di qualsiasi processo creativo e di ogni trasformazione positiva.
Così spirito e conoscenza, amore e saggezza, azione e raccoglimento, uomo e donna si ritrovano in noi di fronte, facendoci scorgere la possibilità di un loro rinnovarsi e crescere insieme per conquistare, alla luce di una coscienza più forte, un livello di superiore unità.
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