L’immagine che ci siamo fatta del quindicesimo secolo come di una fase di fioritura artistica senza precedenti ha la sua rispondenza nella grande quantità di protagonisti che si sono avvicendati sulla scena culturale italiana in quel periodo, ciascuno con la sua peculiare forma di espressione individuale, ma tutti in qualche modo partecipi di un grande evento collettivo e corale, leggibile anche come chiaro segno di un importante momento di svolta che l’umanità stava attraversando.
La ricchezza e la varietà dei contributi che si sono visti nascere nel campo dell’arte e sviluppare nel corso del quattrocento, oltre a manifestarsi secondo il loro intrinseco valore, hanno purtuttavia costituito essi stessi un fertile terreno per la crescita di alcune particolari individualità, che in quel grande “coro” di espressioni artistiche hanno saputo distinguersi, al pari di voci soliste, sull’ampia e variegata scena del rinascimento italiano.
L’opera dei maestri maggiori non avrebbe, presumibilmente, potuto formarsi e distinguersi come ha fatto se non avesse avuto modo di appoggiarsi, per confrontarsi ed orientarsi, sulle tante e diverse esperienze artistiche che in quegli anni l’avevano preceduta.
È questo infatti un periodo storico in cui pare possibile che tutte le ricerche riescano a collegarsi ed a riformarsi le une dalle altre.
Ed è Firenze, città d’arte per eccellenza, a confermarsi ancora, dopo quasi un secolo dal concorso per la porta nord del battistero di S.Giovanni, il crocevia dei percorsi più significativi.
È nella bottega di Andrea Verrocchio, pittore ma ancor più valido scultore, che Leonardo da Vinci (1452-1519) compie il suo apprendistato, entrando in contatto con altri esponenti del rinascimento fiorentino, tra cui spicca la presenza di Sandro Botticelli, pittore vicinissimo all’ambiente culturale mediceo.
Leonardo, pur essendo al corrente dei dibattiti filosofici che animavano il circolo fiorentino, accorda maggiormente le sue attitudini con la vita di bottega e mantiene le distanze da ricerche di tipo intellettualistico per dedicarsi alla sperimentazione.
I suoi strumenti principali sono il disegno e la pittura. Ed in entrambi la protagonista è sempre la luce.
A dispetto dell’idea corrente che tende ad accostare Leonardo alla figura dello scienziato in senso moderno, nata probabilmente dalla sua ostinata ricerca conoscitiva svolta nei campi più diversi, non è possibile riconoscere nelle sue opere il ricorso abituale a tecniche di rappresentazione matematico-scientifiche come lo è la prospettiva.
Se infatti si esclude dall’elenco il “Cenacolo”, in cui la visuale prospettica ha una funzione predominante, nelle sue maggiori opere egli ottiene l’effetto di “profondità” dello spazio quasi esclusivamente tramite la luminosità della scena ed il colore, scegliendo quindi di muoversi su di un terreno che non è quello che aveva accomunato in precedenza le ricerche del Brunelleschi, dell’Alberti e soprattutto, nella pittura, di Piero della Francesca.
La modalità di rappresentazione pittorica scelta da Leonardo non prevede infatti di affidare alla costruzione geometrica, determinata graficamente secondo un metodo oggettivo, il controllo dell’unità compositiva-spaziale, ma concentra prevalentemente l’attenzione del lavoro sul rendere visibile una speciale atmosfera, fatta di luce e colore, che riesca a permeare gli oggetti rappresentati per mostrarne i rapporti, le distanze, le relazioni reciproche e l’appartenenza ad una sola idea originaria e creatrice.
Il cosiddetto “sfumato” leonardesco altro non è che il modo per rendere reale questa atmosfera, che diventa essa stessa il principale elemento di unità nella composizione.
Nei dipinti di Leonardo natura ed esseri umani sembrano appartenersi l’un l’altro come espressioni diverse e particolari di uno stesso “etere”, che alla stregua di una sottile forma di energia che tutto avvolge e vivifica, li rende materialmente visibili come parti di un “tutto”.
La formazione di Michelangelo Buonarroti (1475-1564), più giovane di trent’anni rispetto a Leonardo, avviene invece proprio nella cerchia intellettuale formatasi attorno a Lorenzo de’ Medici, il quale, intuendo le sue potenzialità, mette a disposizione del giovane artista la sua ricca collezione di opere classiche.
I personaggi che fanno parte della cerchia comprendono fra gli altri: Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Poliziano, Landino.
Il gruppo, erede e continuatore di una tradizione di tipo iniziatico di origine pre-cristiana, fonda il proprio orizzonte culturale su di un solido umanesimo, sulla filosofia neo-platonica e sul gusto per la poesia.
Ma la strada scelta da Michelangelo per esprimere il suo genio, anche questa volta, non è la stessa, per esempio, del Botticelli, che pure frequentava lo stesso ambiente, ed invece che a lavorare sulle rappresentazioni allegoriche della mitologia classica essa lo conduce ad approfondire lo studio della figura umana.
I suoi riferimenti sono Giotto, Masaccio, Donatello e Giovanni Pisano, oltre che, ovviamente, la scultura greca e romana.
È evidente il suo desiderio di competere con l’antichità, di confrontarsi con la “sapienza” degli antichi, senza tuttavia limitarsi, come ad altri era accaduto, a ripercorre le tappe dell’imitazione della natura inseguendo la sua bellezza ed il segreto delle proporzioni. Egli non cerca l’equilibrio statico delle forme.
Egli cerca la vita, animata dallo Spirito, dentro alla materia.
È questa sua particolare ricerca a spiegare il senso della spesso esuberante energia plastica delle sue opere, in cui alla saldezza dell’impianto compositivo si unisce sempre una tensione interna che sembra far vibrare le figure di una misteriosa forza interiore, che letteralmente le anima trasformando la minerale immobilità in un processo vitale.
Ancora diverso ci si presenta il percorso seguito da Raffaello Sanzio (1483-1520), che inizia dalla bottega paterna in ambiente urbinate e lo conduce a svolgere le prime attività presso il pittore Pietro Perugino.
E di Perugino Raffaello diviene in certo modo continuatore, se lo si considera assumere il ruolo di massimo rappresentante di una corrente pittorica che, in ambito rinascimentale, si distingue sia rispetto al rigore “geometrizzante” caratteristico dell’opera di Piero della Francesca (conosciuto ad Urbino) che dalla figuratività un po’ astratta di Botticelli ripresa poi successivamente da Filippino Lippi.
Su questa linea Raffaello sviluppa la propria strumentazione artistica che, pur ricorrendo alla scansione prospettica degli spazi, da erede consapevole della tradizione urbinate, diluisce la concettualità e la “freddezza” di Piero in forme molto più accessibili che sembrano poter nascere con una maggior facilità di esecuzione.
Ma si tratta di una facilità solo apparente, visto che il lavoro di Raffaello, procedendo su più piani contemporaneamente, si fonda in realtà su di una prodigiosa capacità di controllo dei mezzi espressivi, passando dall’armonia tra le figure, agli accordi cromatici fino alla fusione dei soggetti con il paesaggio, per raggiungere un livello di sintesi e qualità delle opere elevatissimi.
I primi anni del 1500 vedono i tre maestri, Leonardo, Michelangelo e Raffaello, chi ritornare e chi presentarsi a Firenze, come se si trattasse di un ideale incontro tra ciò che di più alto offriva in quegli anni la capacità espressiva dell’arte rinascimentale.
Tutti loro, che avevano già raggiunto la piena maturità artistica, approfittano della circostanza per conoscere le rispettive opere, confrontarsi ed ampliare il campo delle personali esperienze.
Di fronte ai temi sacri ciascuno di essi offre interpretazioni artistiche particolari, svolte con quelle abilità che il proprio talento aveva nel frattempo maturato. E nessuno di loro trascura di trasmettere, in quelle interpretazioni, i messaggi più elevati, propri della tradizione del cristianesimo più profondo di cui, evidentemente, erano al corrente e si facevano attivi continuatori.
Così Leonardo, nel dipinto della Vergine col Bambino e S.Anna, di cui esiste anche uno studio precedente eseguito a matita, presenta in modo inconsueto una Maria tenuta in braccio dalla propria madre, nell’atto di rivolgersi al Bambino che gioca con l’Agnello.
Egli affronta in quel modo il grande tema della Coscienza e dell’Amore, che è centrale anche per la nostra epoca.
La Coscienza, che è sia umana che divina, è rappresentata da Maria, che si mostra responsabile verso la crescita dello Spirito-Amore (il Bambino) che a sua volta simbolicamente gioca con quello che rappresenta il suo destino di sacrificio (l’Agnello), necessario per la successiva crescita umana.
La madre (S.Anna) rappresenta qui il Mondo Spirituale, da cui la Coscienza è stata generata, che osserva, protegge e regge la scena, sottolineando col proprio sorriso la positività ed il corretto svolgersi del progetto divino.
C’è poi Michelangelo, che nel cosiddetto “Tondo Doni”, rappresenta il soggetto tradizionale della Sacra Famiglia in modo quasi rivoluzionario, dipingendo una Maria che è vista come una giovinetta energica ed alle prese con un vivacissimo Bambino intento a giocare con i suoi capelli.
Il tema nascosto di cui parla Michelangelo è qui il cambiamento occorso alla storia umana segnato dal cristianesimo. Qui la venuta del Cristo, lo Spirito-Amore rappresentato dal Bambino, cambia il pensiero umano introducendo l’Amore (il Bambino tocca la testa alla madre), rendendolo finalmente vitale e generatore di nuova vita (si noti la diversa brillantezza dei colori tra primo piano e sfondo).
E segna quindi il distacco dal mondo antico, quello del pensiero soltanto razionale rappresentato dalla saggezza di Giuseppe (anziano con la barba), dal San Giovannino (scritturalmente definito l’ultimo profeta e maggiore tra i nati di donna…ma che non entra nel Regno), e dalle figure ignude in ultimo piano che ci parlano del mondo antico classico e pre-cristiano.
Anche Raffaello affronta nella sua opera, in modo profondo, il tema del pensiero. E lo fa, assieme ad altri svariati argomenti, nel meraviglioso ciclo di Madonne da lui dipinte.
Nella “Madonna del Cardellino” il Bambino tocca il volatile tenuto in mano dal San Giovannino “fecondando”, con l’Amore di cui è portatore, il pensiero antico (gli uccelli nell’arte sacra rappresentano normalmente i pensieri).
Con il piedino il Bimbo tocca invece il piede di Maria (La Coscienza umana) che sta studiando, sollecitandola con quel gesto a seguire il percorso (i propri passi, compiere azioni amorose) che conduce al regno del Padre.
L’incontro ideale di Firenze, fra i tre grandissimi maestri, non dura materialmente che un solo anno, dopo il quale ciascuno di essi riprende il proprio cammino per incontrare altre importanti occasioni in cui manifestare il proprio straordinario talento.
Dopo di loro le vicende artistiche hanno continuato il loro corso attraversando le epoche successive e più recenti, potendo contare su nuove e più ampie possibilità conoscitive.
Eppure ciò che di questi artisti è giunto oggi fino a noi, anche se visto nel panorama dell’intera storia dell’arte, mantiene i caratteri dell’irripetibile e del miracoloso.
Essi rappresentano, in modi diversi, le forme di espressione più alta che ci si possa aspettare dall’attività artistica.
E sono la testimonianza di un’arte vissuta come esperienza mai conclusa, che sceglie di indagare quali siano le forme più adatte per poter accogliere, trasmettere e rendere manifeste delle verità superiori nel mondo della materia.
Di un’arte che è ricerca continua, e che pur nascendo dal particolare dell’esperienza quotidiana, contando sui doni ricevuti, si mette in grado di muoversi, con coscienza e buona volontà, in direzione dell’assoluto.
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