Lo so come funziona, e come ci si sente. Perchè è un’esperienza che ho fatto, durata fino a non molti anni fa, in questa vita.
È un’esperienza irragionevole, di puro sentimento, che non ha giustificazione.
Si fa e basta, senza pensarci sù né porsi delle domande, ma ci si appassiona, si gioisce e si soffre per davvero.
Poi più avanti, con la maturità, le cose si capiscono un po’ di più, e si potrebbe attribuire loro una giusta importanza, ridimensionandone il peso nella propria vita.
Ma lo stesso si finisce per non cambiare, e si sceglie tenere il calcio con sé, nella propria anima, come se fosse in una specie di zona franca in cui interessi e valori restino estranei alla guida del buonsenso e della nostra coscienza.
Trovarsi per assistere alle partite in TV diventa allora qualcosa di simile ad un rituale pagano, officiato in nome di una sacralità rovesciata in cui le cose inutili e senza senso fanno premio rispetto a quelle serie ed importanti.
Ricordo ancora i salotti anni ‘80 della Milano radical-fricchettona in cui le partite della Nazionale venivano guardate ascoltando il commento ironico diffuso in diretta da Radio Popolare (1).
Era proprio lì che anche i personaggi più noti ed impegnati nella “società civile” si emozionavano per un palleggio o discettavano di fuorigioco facendo sfoggio di insospettate competenze tecnico-calcistiche.
E così il calcio ci accompagnava, come tutt’ora ci accompagna, lungo l’arco di una vita, migrando col suo bagaglio di irrazionalità di padre in figlio, e diventando finanche una sorta di moderno linguaggio universale, in grado di risuscitare relazioni umane ormai spente adducendo una nuova linfa composta di futili questioni e rinnovate aspettative, rigorosamente, queste ultime, sempre uguali a sé stesse.
Eppure, già durante quei tempi andati, nonostante vittorie e soddisfazioni guadagnate senza spesa di cui farmi vanto, ricordo intensi attimi di malinconia che a tratti m’assalivano, come a segnalarmi il vuoto che si nascondeva dietro a quella colossale messinscena orchestrata dal “circo” mediatico, che poteva reggersi soltanto per via di quell’ingenua e persino patetica adesione dei tanti come me che si abbandonavano a seguire le proprie spinte interiori più primitive ed inconsapevoli.
È certamente vero che tutti i sistemi di potere, a partire dall’epoca romana in poi, approfittano delle debolezze umane offrendo al popolo divertimenti a buon mercato.
Ed è pur vero che, di tutto ciò che riguarda i fenomeni sportivi, viene dato sistematicamente risalto agli aspetti più deteriori, fra i quali la competitività e la spinta a creare schieramenti contrapposti prevalgono su tutti.
Tutto avviene alla luce del sole, e dopo questo anno e mezzo di crisi pandemica, in cui i mass-media hanno dato una prova così orrenda della loro missione manipolatoria e del loro asservimento al sistema di potere, la disinvolta celebrazione, come nulla fosse, dell’evento calcistico “europeo” cui si è assistito me lo ha reso francamente insopportabile.
Ma il problema, come al solito, prima ancora di iniziare ad aleggiarci attorno per presentarcisi infine di fronte, si trova in realtà già dentro di noi, ed ha messo le sue radici nella scarsa volontà (nostra) di capire bene come stanno le cose e di comportarci di conseguenza.
Capisco bene che non è facile scegliere di passare per la “porta stretta” e che si preferisca abbandonarsi a sogni assurdi, fingendo a sé stessi che il mondo vero non esista.
Vero è però che continuiamo ad assistere alle cose più incredibili, e può essere soltanto la nostra debolezza a permettere persino che si accenda un dibattito sul comportamento “poco sportivo” degli inglesi che si sono tolti la medaglia durante la premiazione…
Andrebbe innazitutto spiegato cosa ci sia di realmente sportivo in quell’evento che è stato il campionato, mentre invece veniamo ancora ingannati da un mondo fasullo soltanto perché ancora preferiamo lasciarci ingannare…
Temo che gli indizi per dire che il bello, o il brutto, di questa crisi, che in tanti illudendosi pensano stia per finire, debba ancora arrivare ci siano tutti, e che sia meglio iniziassimo, più prima che dopo, a svegliarci per davvero.
NOTE :
1) Non è ovviamente un caso che la parabola della « Galappa’s Band » , nucleo di commentatori parodistici affermatosi in seguito presso le maggiori televisioni private commerciali, sia nata in quella sede.
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