Il periodo che seguì il progressivo disfacimento e la caduta dell’impero romano d’occidente può essere descritto e studiato secondo diversi punti di vista.
Di certo si può dire che le conseguenze dirette del crollo dell’economia organizzata che reggeva allora l’Europa in collegamento con gli altri paesi del Mediterraneo furono di grande portata e misero drammaticamente in mostra gli squilibri che quel sistema aveva determinato.
Più che le cosiddette invasioni barbariche, che pur ebbero un loro effetto, la grave crisi in cui intere popolazioni sprofondarono fu dovuta alla loro incapacità di ripristinare rapidamente quelle forme di economia locale di pura sussistenza che erano state in precedenza cancellate dalla “globalizzazione” operata dall’Impero.
A ciò che dal punto di vista materiale aveva quindi trovato espressione nella carenza dei generi di prima necessità e delle risorse alimentari corrispose in quelle popolazioni l’abitudine a far prevalere gli interessi particolari di singoli gruppi rispetto a forme di socialità più aperta ed estesa, che diede luogo ad uno stato di conflittualità quasi permanente.
L’assenza di un’effettiva autorità superiore che potesse imporre con la forza il rispetto delle più elementari regole di convivenza lasciò così ampio spazio a forme di reciproca sopraffazione, di sopruso e di violenza.
Una parte importante ebbe allora, in una situazione in cui le carestie e la mancanza di cibo rendevano normale la morte per fame tra la popolazione, il monachesimo benedettino, sorto in Italia attorno al 500, che insieme a quello irlandese, di poco successivo (1), seppero interpretare in quelle circostanze un doppio ruolo. Essi assunsero, grazie alle proprie capacità organizzative ed all’attività di evangelizzazione che conducevano, il compito di proporre da un lato un nuovo modello economico di tipo agricolo che aveva nel lavoro dei monaci la sua base di riferimento, e dall’altro una rinnovata visione spirituale fondata sul cristianesimo e collegata alla vita pratica (l’ “ora et labora”) che avrebbe aiutato la popolazione a sollevarsi da una condizione esistenziale frutto di un recente passato segnato da secoli di egoismi e di predazione.
Fu proprio attorno ai monasteri, che in certi casi assurgevano al rango di abbazie, che iniziò a ricostituirsi il tessuto sociale, allora disgregato, secondo un modello policentrico.
In tale modello la società cristiana, pur suddivisa in comunità più ristrette, ritrovava la sua unità.
Ed a partire da ciò che nelle abbazie si riuscì a realizzare si formarono quelle esperienze culturali che fecero da riferimento e da modello per la costruzione delle grandi basiliche medievali.
I secoli che precedettero l’anno mille, che videro tra l’altro con l’esperienza carolingia il primo vero tentativo di associare all’autorità imperiale la responsabilità di fornire alle popolazioni sottomesse, in nome del mandato divino, un chiaro orizzonte culturale e religioso in cui riconoscersi stabilmente (2), furono quindi in un certo modo preparatori, anche dal punto di vista dell’arte, a ciò che nel medioevo si espresse sotto forma di altissima spiritualità.
E tutto ciò avvenne avendo come ambito di espressione quasi esclusivamente l’arte sacra, a testimonianza di quello che pareva essere il raggiungimento di un nuovo livello di coscienza religiosa da parte delle popolazioni italiane ed europee.
La nascita delle grandi basiliche dell’ XI e XII secolo in Italia non potrebbe quindi essere spiegata senza considerare la presenza delle abbazie (pensiamo ad esempio a Cluny e a Montecassino) che si fecero capisaldi di cultura spirituale, e quindi l’influenza che esse ebbero in campo artistico a partire dall’inizio del nuovo millennio.
Ciascuna con il proprio specifico carattere, sintesi di tradizioni locali ed influenze esterne, queste basiliche furono il frutto dell’elaborazione di una millenaria cultura spirituale, su cui il cristianesimo aveva impresso il segno di una svolta e di un’accelerazione che si apprestava finalmente a fiorire, inizialmente in forme artistiche e poi direttamente nell’animo delle persone.
Dentro e fuori di esse i fedeli e i catecumeni avevano la possibilità di vivere una particolarissima esperienza interiore che li avrebbe accompagnati e sostenuti poi anche nella vita di tutti i giorni.
Al loro interno la forma dello spazio, i ritmi architettonici dati dalle varie parti costruttive che si ripetevano ed alternavano, le decorazioni, i cicli narrativi e i capitelli istoriati, tutto concorreva a creare una sorta di microcosmo, un capolavoro artistico “a tutto tondo”, in cui l’arte veniva vissuta interiormente da chi vi entrava diventando alimento per la vita dello Spirito.(3)
E fu proprio l’incontro con lo Spirito l’elemento nuovo che nel medioevo venne posto al centro nelle varie forme dell’arte sacra, a testimonianza dello svolgersi di una particolare fase della storia evolutiva dell’umanità in cui si iniziavano a porre concretamente i semi per una successiva ed ulteriore crescita del cristianesimo, visto da allora in avanti secondo un nuovo punto di vista, che lo avrebbe trasformato in esperienza interiore ed individualmente libera.
Il tema della Natività e la centralità del ruolo di Maria assunto nell’iconografia sacra di questo periodo furono infatti i due elementi su cui si basò gran parte del patrimonio artistico figurativo che iniziò ad accompagnare ed a seguire l’arte architettonica che si espresse nelle grandi basiliche e nelle cattedrali europee nei primi secoli del secondo millennio.
Accanto alla nascita delle “Nôtre Dames”, le grandi cattedrali dedicate a Maria ad opera di impareggiabili monaci – costruttori ispirati dal nascente templarismo (4), incominciarono infatti a comparire sulla scena artistica le cosiddette “Maestà”, le Madonne in trono con il Bambino, che si ricollegavano, estendendolo, al tema della natività, interpretato quest’ultimo sulla base dei vangeli di Matteo e Luca, che veniva spesso fatto divenire parte dei cicli relativi alla narrazione scritturale.
In modo diverso questi due temi interpretavano archetipicamente l’evento dell’incarnazione dello Spirito, rappresentato dal Bambino che nasce, ed il ruolo avuto dalla Coscienza (vista nella sua qualità divina) nel renderne possibile la nascita e quindi la crescita, che veniva impersonata nella figura di Maria.
Maria rappresentava contemporaneamente in queste immagini sia la Coscienza divino-femminile che si faceva carico di proteggere e guidare l’esperienza umana, che la stessa anima dell’uomo, la quale, a seguito del compimento del proprio percorso di crescita, si sarebbe evoluta al punto di poter accogliere lo Spirito dentro di sé.
Una volta nato il Bambino, sarebbe stata la Coscienza ad incaricarsi di proteggerlo e farlo crescere, essendo lei sola la parte dell’Essere in grado di reggere questo compito (per questo è Regina) grazie alla conoscenza di ciò che è bene, acquisita nel corso della sua lunga esperienza di vita.
La regalità mostrata dalla Madonna in trono completava dunque il senso dell’immagine della giovinetta attenta che depone il figlio nella mangiatoia, espressione di una vicenda che aveva e che ha a che fare con l’interiorità di ogni uomo e che è governata e protetta dalle principali forze spirituali, le quali a loro volta si presentavano sulla scena secondo un ordine definito per rendere possibile l’evento.
Così, come descritto con precisione nelle “natività”, la figura di San Giuseppe rappresentava il compito del pensiero razionale antico (l’uomo anziano con la barba), che si metteva a disposizione ispirato da una coscienza ancora sognante (l’angelo infatti gli parlava spesso in sogno).
Così le forze fisiche e metabolico-vitali rappresentate dall’asino e dal bue si mettevano al servizio di ciò che stava per accadere, scaldando l’atmosfera della capanna con i propri corpi e il loro ritmico respiro.
E c’erano anche gli angeli ad assistere alla scena, assicurando la presenza del Mondo Spirituale che aveva voluto fare in modo ed operato affinché tutto ciò avvenisse, insieme con i tre re-maghi ed astrologi, venuti da lontano e guidati dalla stella, che erano arrivati per mettere a disposizione i doni della saggezza spirituale maturata da tutte le principali culture precedenti che essi rappresentavano.
Anche i pastori, come talvolta accadeva a Giuseppe, stavano dormendo, ma, svegliati dall’angelo e posti di fronte alla Gloria Celeste anch’essi si apprestavano a conoscere quello che stava per succedere.
Essi erano l’immagine dell’umanità, che, ancora troppo alle prese com’era con i propri sensi fisici (rappresentati dalle pecore) e con le distrazioni che essi procuravano, rischiava di non accorgersi dell’importante svolta che la riguardava e che stava per cambiare il corso del suo cammino.
Ancora increduli i pastori arrivavano sino al cospetto della mangiatoia per rendere omaggio a Colui che li avrebbe in futuro “salvati”, e raccontavano a quelli che incontravano ciò che era loro capitato, serbandone il ricordo, preparandosi quindi anch’essi ad intraprendere un nuovo cammino.
Si trattava dello Spirito, quindi. Di quella componente divina ed immortale dell’essere umano, che in queste visioni veniva descritta nascere, e dunque discendere ed incarnarsi nel mondo della materia fisica nelle sembianze di un bambino.
Di quello Spirito che, così come un bambino, ha la possibilità di crescere soltanto grazie alla presenza di una Madre, anch’essa di natura divina, che ha la stessa funzione di una Coscienza evoluta, che sa distinguere ciò che è bene per suo figlio e che sa valersi a questo scopo del pensiero razionale che l’aveva preceduta.
Era questo il grande racconto, colmo di verità, che la grande cultura mistica del medioevo, quasi sempre malcompresa, ha saputo trasmettere in forme artistiche, con la sua ricchezza di colori e di suggestioni, ad un’umanità in piena crescita, con cui oggi possono essere avvertiti numerosi punti di contatto.
E lo ha saputo fare sia attraverso l’opera minore dei tanti artisti che affrescarono le chiese e le pievi sparse per tutto il territorio, che grazie ai lavori di alcuni fra più grandi maestri di ogni tempo, tuttora ammirati e celebrati nei maggiori musei del mondo. Producendo infine un grande lavoro comune, armonico e condiviso, quasi che si trattasse in fondo di un unico coro, impreziosito da voci soliste, capace di intonare una sola, grande e superba, melodia.
NOTE:
1) Il riferimento è qui rivolto al monaco irlandese Colombano (540-615) sceso in Italia all’inizio del VII secolo, cui si deve tra l’altro la fondazione dell’importante abbazia di Bobbio in Valtrebbia (PC).
Per approfondire: https://ilquartore.wordpress.com/2018/06/21/leremo-di-san-colombano-la-vicenda-di-un-monaco-salvatore-di-anime-venuto-dal-nord/
2) La “Renovatio Imperii” (restaurazione dell’autorità imperiale) voluta da Carlo Magno fu attuata attraverso un programma di valorizzazione della religione cristiana e di recupero della tradizione classica che vide nella fondazione della Schola Palatina (scuola di corte) e nella costruzione di cattedrali e monasteri le sue manifestazioni più significative.
3) Per un ulteriore approfondimento sull’architettura romanica:
https://ilquartore.wordpress.com/2019/03/03/larchitettura-sacra-dalle-origini-al-medioevo-una-lettura-spirituale-parte-seconda/
4) Per un ulteriore approfondimento sull’architettura gotica:
https://ilquartore.wordpress.com/2019/04/07/larchitettura-sacra-dalle-origini-al-medioevo-una-lettura-spirituale-parte-terza/
ARTICOLI CORRELATI:
LA PIEVE ROMANICA DI COLOGNOLA AI COLLI – Un piccolo santuario del Divino Femminile in provincia di Verona.
IL SORRISO ARCAICO – Spiritualità e bellezza nell’arte del Mediterraneo precristiano.
L’ARTE E IL PRINCIPIO DI AUTORITÀ – L’immagine dell’Impero nella Roma antica.
QUANDO IL CIELO DIVENNE D’ORO – Il miracolo dei colori nell’arte paleocristiana.
LA PROSPETTIVA DEL RINASCIMENTO – Il nuovo sguardo sul mondo nell’arte del XV secolo.
LA RICERCA DELL’ASSOLUTO – L’arte dei grandi maestri tra quattro e cinquecento.
LA CADUTA NELLA MATERIA – L’arte del seicento e l’attualità di Caravaggio.
TRA OGGETTIVITÀ E FINZIONE – Rococò e vedutismo nell’arte del settecento.