Seguendo la traccia della tradizione più alta della spiritualità medievale, l’incontro con la cattedrale di San Valentino, a Bitonto, non può che essere fra i più emozionanti.
E se da un lato la chiesa era stata, ed è, espressione culturale di una corrente religioso-iniziatica di cui anche Federico II di Svevia faceva parte, essa conserva tuttora il suo carattere che la fece strumento di aiuto della vita interiore e crescita per le persone che la frequentavano. (1)
Chi entrava nel tempio, non tanto e non solo per pregare, era portato infatti a vivere un’atmosfera di idealità e spiritualità più elevate che poi avrebbe potuto trattenere e portare con sé nella vita quotidiana.
Tale atmosfera era determinata sia dalla struttura stessa della chiesa (la sequenza degli spazi interni che “stimolavano” opportunamente i centri energetici più sottili della persona) che da tutto il repertorio di immagini e decorazioni che accompagnavano il visitatore nel suo percorso secondo una progressione prestabilita, suscitando in lui quelle sensazioni-emozioni che cooperavano al riallineamento e riequilibrio delle proprie forze interiori.
Già esaminando la facciata si notano tutti i riferimenti più importanti che descrivono la particolare qualità evocativa che la chiesa avrebbe dovuto avere nelle intenzioni di chi l’aveva progettata.
L’effettiva funzione degli elementi decorativi sulla facciata era tuttavia contemporaneamente anche quella di predisporre i visitatori in modo che la loro anima fosse pronta ad intraprendere il percorso all’interno. E ciò era possibile solo dopo che avessero lasciate fuori tutte le eventuali forze “di disturbo” che avrebbero impedito loro di vivere correttamente quell’esperienza.
La lettura della facciata può cominciare dal rosone, che, in generale nelle chiese romaniche, rappresenta il sole.
Esso è infatti simbolo solare riconoscibile nella sua stessa forma ed è anche in grado di portare fisicamente luce all’interno della chiesa, illuminandola con i suoi raggi.
Il rapporto che si instaura tra il rosone ed il corpo della chiesa ci ricorda, suggestivamente, l’incontro tra l’anima e lo Spirito, in cui quest’ultimo, portatore di una qualità divina, “feconda” ciò che di più elevato in terra si è potuto edificare.
Esso costituisce dunque testimonianza diretta del carattere solare della religione cristiana, che nella sua concezione originaria riconosceva nel sole la manifestazione materiale del Cristo stesso.
La struttura decorativa del rosone è sorretta da due colonne laterali con le basi poggianti su due leoni. Sopra le colonne si trovano due grifoni che reggono a loro volta il cornicione a forma di arco semicircolare sormontato da una sfinge.
Ciascun animale ha qui, come altrove nella chiesa, un significato simbolico che rimanda a specifiche qualità dell’anima, corrispondenti al ruolo di quelle singole parti rappresentate all’interno dell’intera struttura.
I leoni alla base sono la forza che si unisce al coraggio. Le colonne soprastanti sono il corretto andamento della crescita umana. I grifoni in alto sono la forza ed il coraggio del corpo leonino uniti allo spirito, rappresentato dalle ali e dalla testa d’aquila.
La sfinge, che sulla cima domina l’intera facciata, unisce al corpo di leone e alle ali dell’aquila la sua testa di donna, rappresentando così la coscienza (femminile) che si fa forte delle altre qualità già appartenenti al grifone.
La sfinge posta all’apice della cornice più alta indica dunque il carattere principale della chiesa, che risulta essere dedicata al “Divino Femminile”, alla componente femminile (coscienziale) della divinità.
E seguire, come qui implicitamente indicato, la strada della sfinge significa intraprendere il percorso della vita con una coscienza che è tale da volare nel mondo dello spirito (l’aquila) con il coraggio e la forza del suo corpo fisico (il leone).
La struttura del portale di ingresso è anch’essa decorativamente articolata secondo uno schema simile a quello del rosone. La sequenza portante che vede in successione i leoni, le colonne ed i grifi ripete quella appena vista nel rosone. All’apice del cornicione della lunetta, si trova però, invece di una sfinge, un pellicano.
Il pellicano è simbolo cristico. Il Cristo è come il pellicano, che ha costume di ferire sé stesso per offrire il sangue ai propri figli. Il Cristo è la terra con i suoi frutti, messi a disposizione degli uomini anche al costo del suo sacrificio, per puro amore.
Si agisce dunque nella terra, è questo il messaggio, come il pellicano, per andare nella direzione del cielo, insieme alla sfinge.
Le cornici decorative del portale sono di due tipi. Quella più esterna è composta di forme vegetali, rappresentando il mondo delle piante ed evocando quella forza misteriosa (ed invisibile) che le sostiene. Essa annuncia quindi la soglia di un mondo non visibile ai sensi fisici ma retto da forze sottili e vivificanti, che si può sperimentare varcandola.
La cornice interna è invece un insieme di forme composite, di spire ed esseri semi-animali o direttamente animali, che rappresentano i pensieri pre-costituiti (le cosiddette forme-pensiero) e i diversi tipi di forze agenti nell’anima umana, che andrebbero conosciute dettagliatamente e dominate per progredire nel percorso di crescita spirituale.
L’unità di senso di tutta questa articolazione si trova quindi nella lunetta, la parte soprastante l’ingresso, seguendo la corretta interpretazione di quanto rappresentato.
Nella parte inferiore vi è la sequenza della comparsa di Gesù sulla terra, che si presenta quale rappresentante di una regalità di origine divina che si incontra con una linea dinastica altrettanto regale, quella della casa di Davide.
L’annunciazione data dall’angelo (interprete del volere del cielo) è seguita dalle scene della visitazione, dell’adorazione dei magi (i re-sacerdoti zoroastriani guidati dalla stella a otto punte, simbolo della Sophia), e della presentazione al tempio.
Nella parte superiore vi è il compimento del percorso terreno di Gesù, illustrato nel momento in cui dopo la discesa nell’oltretomba ritrova le altre guide dell’umanità che l’avevano preceduto che si riuniscono per portare la Croce della Resurrezione (Patriarcale o detta anche “di Lorena”) e consegnarla nelle mani di un’altra linea regale: quella degli Hohenstaufen, imperatori di Svevia.
Il braccio superiore della croce di Lorena è quello su cui sta scritto “ Iesus Nazarenus Rex Iudeorum”. Essa è dunque il simbolo della regalità sancita per diritto divino, che viene trasmessa ad una linea regale terrena (il Sacro Romano Impero) nel tentativo, che fu fatto a partire da Carlo Magno fino a giungere agli Hohenstaufen, di mantenere una struttura di governo in terra che fosse in linea con il progetto divino di crescita umana.
Una regalità, quella rappresentata dalla croce portata da Gesù-Cristo discendente diretto della stirpe di Davide, che qui non è soltanto riferita al governo dei popoli, ma anche alla capacità di guida della struttura interiore umana che corrisponde ai vari corpi (il corpo fisico, quello energetico e l’anima), e che, a livello individuale, è la caratteristica dello Spirito.
Lo Spirito è guida, ed in quanto tale è anche re (sii papa e re di te stesso recitava un antico motto templare).
Quindi, il messaggio complessivo che si trasmette nella facciata spiega come noi abbiamo bisogno di un re, che si ponga al governo del nostro essere e ci conduca lungo il percorso della nostra crescita.
Ma se è vero che possiamo avere un re che è soltanto un ego, un re ingiusto che non non è ancora in grado di governare correttamente i popoli (che sono i nostri corpi), è anche vero che possiamo arrivare ad avere un re saggio ed illuminato, e, come rappresentato in questo caso, che sia in possesso di tutte le caratteristiche utili (quelle della sfinge) per governare il proprio popolo e fare il bene anche di altre nazioni (gli altri individui). Un re che è, e dovrebbe sempre essere, il nostro Spirito.
Muovendosi all’interno della chiesa si trovano altri elementi che confermano e rafforzano la narrazione presente in facciata, facendo risuonare ulteriormente determinati temi spirituali nell’anima di chi poteva vivere quell’esperienza.
Sul parapetto della scala che porta all’ambone è rappresentata la dinastia imperiale degli Hohenstaufen, che vede in successione Federico I, Enrico VI, Federico II (riconoscibile per la vicinanza col falco) e Corradino.
Si noti, a questo proposito, che il gesto del Barbarossa è quello di passare (trasmettere) al suo successore lo scettro imperiale che ha qui forma di giglio.
Il giglio, nella tradizione dell’arte sacra, ha tre petali (è trinitario) e rappresenta l’investitura di una responsabilità divina.
Esso rappresenta lo stesso giglio che viene donato a Maria dall’angelo al momento dell’annunciazione.
Ed è lo stesso giglio che troviamo, in un mosaico, in bocca al grifone e sulla punta della sua coda, per sottolineare come il mandato divino abbia totalmente coinvolto e trasformato le forze umane anche nella loro componente più animale.
Tutto il percorso che si svolgeva nella chiesa era quindi indirizzato alla crescita interiore delle anime che lo affrontavano, ed uno dei temi fondamentali che vi erano rappresentati era (ed è tuttora) quello di aumentare la capacità di controllo delle forze passionali, che, con il disordine che le contraddistingueva, quella crescita avrebbero ostacolato.
Un tema questo già chiaramente anticipato sulla facciata, dove il grifone mostra di tenere sotto controllo con facilità l’esserino con corna a spirale che sta tra le sue zampe anteriori. E lo può fare grazie a quelle qualità dell’anima (forza, coraggio ed azione spirituale) ormai conquistate che sono a sua disposizione.
Ecco quindi spiegato il senso di quel particolare bestiario rappresentato nelle forme di molti capitelli, testimonianza di altrettante e particolari forze agenti nell’anima umana che, in ambiente astrale, assumevano tale sembianza.
Nel caso di animali dall’aspetto mostruoso la qualità animica che si intendeva rappresentare era particolarmente negativa, e poteva ad esempio essere la rabbia, riconoscibile nella loro espressione feroce.
Una rabbia che, ad esempio, non si trova nei leoni posti in facciata poiché, essendo stata trasformata in mansuetudine, ha avuto la possibilità di diventare forza positiva ed utile, se posta al servizio della crescita umana.
Nella sirena bicaudata, immagine molto utilizzata nell’arte medievale, si rappresenta invece la capacità di controllo delle passioni di natura animale, rappresentate dalle code, che viene esercitata dalla coscienza cresciuta rappresentata in questo caso dal volto femminile.
Il simbolo della sirena poteva essere anche trasportato in ambito maschile, laddove la barba sul viso di quell’essere fantastico rappresentava la saggezza, accompagnata dalla fiaccola della verità e dallo scudo della conoscenza, con le quali venivano tenute a bada, in altro modo, le due code.
Tutta la scena simbolica poteva a sua volta essere sostenuta con le forze del corpo fisico che, sottostanti, “reggevano” l’operazione.
E così, di questo passo, tutte le immagini contenute nella chiesa potevano essere interpretate e spiegate in modo analogo, accorgendosi di come nulla fosse stato fatto “a caso” e che il loro significato fosse sempre coerente con la narrazione complessiva che in quel luogo era stata svolta.
Ed era proprio seguendo il filo di quella narrazione che si poteva capire come, soltanto dopo che le passioni fossero state tenute a bada, lo Spirito divenisse realmente libero di agire nel mondo.
Ed ecco infatti in ultimo, sull’ambone, a reggere il leggio sul quale venivano poste le Scritture, comparire l’aquila-spirito, ormai padrona della situazione ed anche, secondo i dettami dell’arte sacra, posta a simbolo dell’evangelista Giovanni.
Ecco quindi, a fine percorso, comparire un nuovo tema, anch’esso evolutivo, che ci presenta il vangelo di Giovanni, quello più spirituale, come centrale rispetto agli altri cosiddetti sinottici.
Giovanni era infatti l’uomo nuovo, trasformato dall’amore del Cristo, rappresentante di quella chiesa anch’essa spirituale destinata a rimanere nell’ombra negli anni dominati dalla chiesa imperiale pietrina.
Egli era l’apostolo che giunse per primo a vedere il sepolcro vuoto (testimonianza della resurrezione del Cristo e della redenzione degli uomini), avvertito dalla Maddalena, ma che entrò per secondo, dopo Pietro, a testimonianza del fatto che il suo compito evangelico sarebbe cominciato più tardi (Gv. 20, 1-10).
Ma egli è stato anche il primo rappresentante di quell’ Ecclesia Spiritualis, contrapposta all’ Ecclesia Carnalis, di cui parlò prefigurandone le sorti Gioacchino da Fiore e che attende ancora, fondandosi sul cuore di ognuno di noi, di essere realizzata.
NOTE:
- I contenuti di questo articolo provengono in gran parte da quanto trasmesso da Fausto Carotenuto, studioso e ricercatore dello spirito, nel corso di alcune conferenze pubbliche tenutesi di recente.
Personalmente, avendo trovato di estremo interesse tali contenuti, soprattutto se confrontati con le mie precedenti esperienze nel campo dell’architettura, ho cercato di riassumere e dar forma scritta a quanto ascoltato nelle varie occasioni, unendo al testo alcune immagini ad esso collegate per maggior chiarimento di quanto presentato.
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