Tag
Che cosa sono i numeri ?
Perché sono “comparsi” ad un certo punto della storia dell’uomo ?
E cosa ce ne dovremmo fare noi di essi ora, visto che, se non fosse per qualche piccola necessità cui possiamo tranquillamente far fronte, tutto il resto è già stato calcolato da qualcun’altro : spese, stipendi, orari, date, calendari e via dicendo?
Spesso desidereremmo evitare di occuparci di loro, forse a causa di un’insofferenza maturata fin dai tempi della scuola, quando lo studio della matematica rappresentava uno degli scogli più difficili da superare.
Ciononostante e, che ci piaccia o meno, i numeri si trovano spesso intorno a noi, e seguitano ad intrufolarsi in vari modi nelle nostre vite, a volte per complicarcele, ed altre volte per aiutarci a risolvere qualche problema, sebbene di questo aiuto ci capiti raramente di fare tesoro ed essere riconoscenti.
Così, se mettiamo da parte per un istante la nostra antipatia (o simpatia) nei confronti di questa materia, possiamo osservare come, in modo simile a ciò che accade nella geometria, dove i punti, le rette ed i piani fungono da parti costitutive con cui riconoscere e formulare le leggi che governano lo spazio, l’aritmetica sia fondata interamente sui numeri, ed attraverso di loro essa proceda a compiere una delle opere più importanti cui l’umanità ha iniziato a dedicarsi fin dai tempi più lontani.
I numeri sono, in sostanza, dei simboli che, giungendo fino a noi dal passato più remoto, recano con sé diversi significati.
Inoltre, a ciascuno di essi, corrisponde un suono che noi pronunciamo unendo opportunamente consonanti e vocali, la cui musicalità contribuisce ad ampliare la capacità espressiva ed evocativa delle parole alle quali quel numero si accompagna.
I numeri coloriscono e rendono più efficaci le espressioni linguistiche, a patto che vengano usati in coerenza con il senso del discorso. Altro è l’effetto, ad esempio, del dire soltanto uno, oppure del far seguire all’ uno i numeri mille e centomila, evocando con tale sequenza un’espansione che si unisce al senso del disperdersi progressivo dell’individualità in una massa indistinta, ovvero una forma di crescita esponenziale ed incontrollata di un qualsiasi episodio individuato.
Con i numeri noi ci avviciniamo al mondo ed alle cose, creando collegamenti e tessendo relazioni, ma soprattutto descrivendo, a noi stessi prima ancora che agli altri, ciò che sperimentiamo coi sensi fisici e trasferiamo nell’anima sotto forma di rappresentazioni.
Se ad esempio entrando in una stanza in cui si trovano alcune persone noi descriviamo quello che vediamo dicendo di trovarci al cospetto di un gruppo di gente “allegra ed intenta a conversare scambiandosi opinioni”, ne diamo una rappresentazione in cui prevale l’aspetto sentimentale rispetto a quello analitico.
Se invece dicessimo che in quella stanza si trovano “undici individui, di cui tre sono donne, due sono bambini” e così via, sceglieremmo di presentare la realtà apparente in modo più preciso, di certo più distaccato ma evidentemente più vicino alla oggettività delle cose, se confrontato all’immagine che se ne è data in precedenza.
Il Contare diventa in realtà, proprio come mostrato in questo caso, un modo di descrivere.
Nell’atto di contare noi mettiamo in ordine le nostre sensazioni, formiamo in noi il concetto di grandezza e facciamo progetti sul futuro.
Se io, ad esempio, vedo un albero posso pensare di girarci attorno. Se gli alberi sono due posso passare tra di essi. Se entro in un bosco, di cui non so nulla, posso rischiare di smarrirmi e di non essere neppure in grado di tornare indietro.
Contrariamente a quanto comunemente si pensi, i numeri non si limitano affatto a riferirsi a ciò che di quantitativo risiede nella realtà, ma servono a rappresentarne anche altri aspetti, affini alla vita di volontà e molto più sottilmente collegati a verità di tipo superiore.
Se io mi trovo da solo e, mettiamo il caso, mi si ferma la macchina, posso solamente cercare di chiamare aiuto. Ma se invece a bordo dell’auto siamo in quattro e quella non riparte, allora potrò anche pensare di spingerla, assieme agli altri tre, fino alla prima officina di riparazione.
In questo senso quattro si distingue da uno perchè si rivela portatore di potenziali risorse operative altrimenti inespresse, mettendo in evidenza altre specifiche qualità, in questo caso utili alla necessità creatasi.
Contando ed operando con i numeri, dunque, conosciamo il mondo mettendoci in relazione con esso, e quindi anche, progressivamente, acquisendo argomenti utili per poterlo trasformare.
Viene dall’esperienza di tutti i giorni l’osservare che possiamo pensare di modificare utilmente qualcosa soltanto se abbiamo individuato correttamente le diverse parti di cui quel qualcosa è composto.
Le diverse “conte“, se riguardate secondo un’ottica evolutiva, che metta cioè in evidenza la crescita progressiva delle capacità umane di comprensione del proprio ambiente, divengono nel tempo più precise e complesse.
Si può constatare facilmente come ciò sia avvenuto in analogia col percorso di crescita dei bambini. L’umanità nel suo complesso è anch’essa cresciuta nella sua capacità di rapportarsi con il suo ambiente, nel corso dello svolgersi, per fasi successive, delle epoche passate.
Tutti noi abbiamo “contato” prima le cose intere e poi, dopo un po’ di tempo, le loro parti, “inventando” proprio per questo motivo i numeri frazionari ed il più ampio insieme dei numeri razionali.
Più tardi, al prezzo di successivi sforzi di ragionamento, siamo arrivati a scoprire l’esistenza di altri numeri ancora, indefiniti e difficili da gestire, classificandoli, e riconoscendo in questo tale particolare qualità, come irrazionali.
Operare con i numeri significa in sostanza tradurre in un particolare linguaggio, quello matematico, idee che sorgono dall’osservazione della realtà, mettendone in evidenza il carattere di essenzialità.
Lo scrivere un’espressione algebrica può essere paragonato al descrivere una certa situazione in cui intervengono diversi personaggi (le parti letterali) spinti ad interagire su azione di agenti esterni (le operazioni di calcolo influenzate dai coefficienti numerici).
E quando operiamo su di un’espressione, il più delle volte non stiamo ancora cercando direttamente il valore di un’incognita, utile a risolvere un qualsiasi problema, ma stiamo soltanto semplificando quell’espressione, riducendola (si dice così) in « forma normale ». La stiamo cioè rendendo più comprensibile, come se volessimo riportarla, in un certo senso, al suo aspetto essenziale.
Ridurre gli aspetti del reale alla loro forma essenziale significa renderli riconoscibili, liberandoli dalle loro parti accessorie che impediscono di vederli per come essi sono. Ed è questo il passaggio, indispensabile da compiere, che permette di confrontare tali aspetti tra loro.
Qualsiasi forma di conoscenza passa infatti attraverso un confronto. Ogni forma di misurazione è il confronto tra un oggetto e la sua unità di misura. Alla base di ogni conoscere vi è sempre un riferire una cosa ad un’altra.
Per questo motivo in matematica hanno grande importanza i rapporti tra grandezze, proprio perché, se noi fossimo privati di ogni termine di confronto, noi non saremmo in grado di praticare alcuna forma di conoscenza.
I rapporti, così come vengono descritti dalla matematica, hanno inoltre un aspetto qualitativo di cui occorre tener conto: un rapporto tra grandezze omogenee, quando è stato formulato, perde il suo carattere di grandezza “misurabile” e si trasforma in semplice numero. Tale valore numerico, privo di unità di misura, è stato definito un numero puro, un numero che serve cioè a descrivere l’esito propriamente qualitativo di quel confronto (il rapporto) senza più menzionarne gli aspetti materiali.
In tal senso, parlando di proporzioni, che per definizione sono uguaglianze tra rapporti, è possibile ricondurre canoni propriamente estetici a dei valori numerici, sconfinando direttamente, seguendo ragionamenti matematici, nel campo dell’Arte.
Se poi continuiamo ad operare con i confronti contribuiamo certamente a mettere in evidenza le diversità esistenti tra i vari aspetti del reale, ma anche e soprattutto a riconoscere le uguaglianze, con cui è possibile mettersi in cammino nella direzione delle grandi leggi universali che regolano il mondo, ordinandolo gerarchicamente.
Le proporzioni sono, come abbiamo visto, delle “uguaglianze di rapporti”. Ed è appunto attraverso lo studio delle proporzioni che l’arte della Grecia antica ha dato dimostrazione della presenza della mano divina nell’attività di creazione del cosmo e dei regni della natura.
Stabilire un’uguaglianza in fondo non è altro che accordarsi sul riconoscere una legge che regola una certa situazione obbligandone le parti a rispettare determinate corrispondenze.
È, in altre parole, un modo di riconoscere l’esistenza di un ordine superiore che regola il divenire del cosmo, e che ci offre contemporaneamente la possibilità di appellarci ad esso per dare agli sviluppi di tale divenire una spiegazione plausibile.
Nella grande famiglia delle uguaglianze si collocano, oltre che le propozioni, anche le equazioni algebriche, che nel caso siano determinate, consentono l’individuazione dell’unico valore dell’incognita in grado di soddisfare l’uguaglianza su cui sono costruite.
Tali sono le equazioni di primo grado, cioè quelle in cui la parte letterale incognita non è elevata ad alcuna potenza.
Risolvere un’equazione di primo grado significa in pratica rendere noto ciò che è già presente nel suo testo fin dall’inizio, pur essendo nascosto nelle pieghe di una procedura che deve essere declinata interamente per poter essere condotta a buon fine.
Ed in effetti, in certi casi, tale procedura ci segnala come il risolvere un problema non significhi inventarsi una qualunque soluzione, quanto piùttosto contribuire al disvelamento di una verità già esistente. Sarebbe cioè come partecipare alla messa in luce di un percorso rivelatore come se questo fosse già stato predisposto da qualcuno e reso disponibile per chi fosse in grado di servirsene.
Un po’ come se, per così dire, ad un certo livello “primordiale”, le soluzioni ai problemi fossero unilateralmente preordinate, ed a chi avesse l’intenzione di confrontarsi con tali problemi fosse lasciata la possibilità di farne esperienza diretta.
Altra cosa è invece confrontarsi con equazioni più complesse, come ad esempio quelle di secondo grado.
In tal caso i valori che possono essere attribuiti all’incognita divengono due, e a volte, come nel caso delle equazioni dette pure, uno positivo ed uno negativo tra loro opposti.
Qui avviene qualcosa di particolare, che nella nostra indagine sulla realtà può essere considerato in termini generali (e quindi universalmente validi) l’esperienza della “polarità”. L’esistenza di tale polarità rivela come ci si possa trovare di fronte a casi in cui una risposta corretta sia determinata contemporaneamente da un certo valore numerico e dal suo opposto, aprendo così il campo delle possibilità di scelta alle due opzioni “simmetriche” al posto di quella singola.
Il campo della nostra indagine della realtà si allarga poi ulteriormente quando si passa a considerare le equazioni a due incognite, le quali non si determinano più ciascuna per sé stessa ma che dipendono l’una dall’altra.
Qui la matematica ci sorprende un po’, riuscendo ad avvicinarsi alla descrizione delle situazioni reali in modo abbastanza evidente. E lo fa introducendo il tema dei rapporti interpersonali, definendo cioè a tal proposito il concetto di funzione.
Con la funzione, che è una particolare forma di relazione che lega tra loro due grandezze non determinate a priori, il numero dei valori attribuibili alle due incognite diviene a quel punto infinito, pur senza impedire all’equazione di poter essere soddisfatta.
Tali valori vengono tuttavia resi interdipendenti da quella relazione che si è instaurata tra loro e che dà un senso preciso al loro legame.
Le funzioni rappresentano il riconoscimento di leggi implicite di “relazione”.
Quelli descritti con le funzioni è come se fossero degli ambiti di libertà di scelta che si offrono, potremmo dire, alle “coscienze più evolute”, pur rimanendo all’interno di un processo causa-effetto che contraddistingue il divenire nel suo complesso.
In base alla comprensione di tale processo, io posso scegliere di fare qualcosa sapendo che il mio agire avrà determinate conseguenze, e che quindi il mio modo di essere e di comportarmi nel mondo interessa ed ha, concretamente, effetti diretti su ciò che mi circonda e sugli altri.
L’esistenza di leggi, che noi possiamo direttamente sperimentare, ci conduce infine all’attualità della condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo, che è minacciata nella sua integrità dal relativismo culturale oggi diffuso.
Sperimentare l’esistenza di un ordine superiore che sostiene e spiega la parvenza materiale di ciò che i sensi trasmettono diventa importante proprio per mostrare il carattere illusorio di tale relativismo cui corrisponde in realtà soltanto una falsa idea di modernità e di progresso.
La Verità, da cui le leggi discendono, esiste davvero, seppure celata ad un livello ancora difficilmente accessibile.
Noi restiamo tuttavia liberi di perseguire tale Verità o di non farlo, riconoscendo come sia competenza di ciascuno di noi la sua riscoperta che può compiersi al completamento di un cammino individuale, nel corso del quale si sperimentano la concretezza della realtà e la qualità del lavoro necessario a raggiungerla.
Nulla è oggi più concesso senza che nella sua ricerca venga profuso adeguato impegno e giusta applicazione.
E la matematica è rimasta ancora oggi nel posto che le compete proprio per ricordarci questo, offrendosi con i suoi strumenti, precisi ed essenziali per aiutarci a formare in noi le capacità necessarie ad intraprendere, liberamente, il nostro cammino in direzione della conoscenza.
ARGOMENTI CORRELATI: