Seguendo il percorso tradizionale tracciato dalla storia dell’arte, Leonardo da Vinci viene visto comparire come figura di spicco, fra le maggiori, appartenenti allo scenario della pittura quattrocentesca in Italia.
Come tale, da uomo del suo tempo, egli è considerato maestro nell’arte della rappresentazione prospettica, ed il suo Cenacolo viene, giustamente, indicato come uno degli esempi più alti dell’applicazione di questa tecnica alla pittura.
La letteratura di settore è ricca di analisi, anche approfondite, che vanno nella direzione di evidenziare la capacità di controllo di tale strumento mostrata da Leonardo in questa sua celebre opera.
Si è scritto dell’attenta distribuzione delle figure degli apostoli e della posizione centrale del Cristo, atta a bilanciare e a dare ordine all’intera composizione.
Si è detto dell’effetto spaziale ottenuto ordinando le linee prospettiche, tale da generare una sensazione di profondità nella parete affrescata del refettorio, come se l’ambiente fosse notevolmente più ampio rispetto a com’è in realtà.
Si è fatto notare come la luminosità del dipinto fosse in accordo con l’effettiva posizione delle finestre esistenti ed arricchita dal chiarore del fondale, tale da creare una specie di aura naturale attorno alla figura del Cristo.
Ed altre cose ancora sono state aggiunte, o portebbero esserlo, seguendo questa direzione di approfondimento che ha un suo livello di indiscutibile interesse per la disciplina artistica così come essa viene correntemente intesa.
Va detto però, che questo tipo di interpretazione, appunto disciplinare, risulta, per definizione, tutta interna alla “disciplina”, e potrebbe ragionevolmente interessare poco o punto i non addetti ai lavori, che hanno, non per colpa loro, poca dimestichezza con l’arte pittorica.
Non è certamente in discussione qui la grandezza di Leonardo come pittore, che può essere colta in modi diversi, guardando le sue opere, anche da chi non si occupa di pittura.
Pare tuttavia necessario ampliare il quadro cui si riferisce l’interpretazione corrente, per evitare di restare prigionieri di una modalità conoscitiva che risulta essere figlia di una cultura settoriale ed ambiguamente fautrice di una particolare forma di separazione dei saperi.
Questa tendenza verso la specializzazione in campo culturale ha portato, in tempi recenti ed anche in ambito artistico, tanta parte della critica a dare più importanza alle modalità di interpretazione ed esecuzione di un’opera piuttosto che occuparsi a fondo dei temi in essa trattati, come se, per gli artisti, scegliere un argomento da rappresentare o un altro fosse più o meno la stessa cosa, ovvero semplicemente un pretesto per esprimere figurativamente il proprio talento.
Ci sembra opportuno allora fare un passo indietro (o meglio in avanti), provando a guardare il Cenacolo innanzitutto per ciò che è, ossia innanzitutto come una rappresentazione di arte sacra, fra le più alte che si conoscano.
Il tema qui trattato è descritto in diversi passaggi scritturali, e riguarda l’annuncio dato dal Cristo ai discepoli, dell’imminente tradimento di Giuda Iscariota ai suoi danni. Giuda, infatti, si era già accordato con i capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù, in cambio di trenta denari d’argento.
Vi è quindi un primo livello interpretativo di cui tener conto, direttamente riferito al passo descritto nelle Scritture, laddove queste trattano di un episodio della vita di Gesù e dell’opera del Cristo in terra.
Occorre però considerare, occupandosi in generale delle Scritture, che queste non si limitano a “raccontare” le vicende che occorsero a Gesù nella Palestina di duemila anni fa, così come comunemente si pensa.
Vi sono infatti anche degli altri livelli interpretativi più profondi che ci indicano come in esse vengano presentati e descritti, per “immagini”, i più grandi misteri del mondo e dell’umanità nel loro insieme.
Le scritture, al contrario di quanto purtroppo accade oggi, vanno studiate seriamente, senza secondi fini, poichè contengono chiari messaggi volti a spiegare agli uomini il senso della loro presenza in terra ed il proprio compito nel complesso processo evolutivo predisposto dalla Coscienza Universale.
Usando i giusti strumenti ed una fondata visione spirituale si possono trovare in esse rappresentazioni di vicende particolari che sono però anche in grado di assumere valore archetipico.
Che possono cioè riaccendere nell’anima degli uomini il ricordo di episodi della loro storia cosmica, oggi riposti nell’interiorità più profonda e celati al ricordo ed alla loro personale rielaborazione.
La storia della crescita spirituale dell’uomo risale a tempi remotissimi, nei quali le grandi qualità divine emersero, volta per volta, dall’immobilità del nulla cosmico, per andare a formare l’essenza dei nuovi esseri che avrebbero costituito l’umanita cui apparteniamo, e che è tuttora in evoluzione. (1)
Alla volontà iniziale, espressa nelle azioni compiute dalle più alte spiritualità angeliche nell’atto della creazione, si aggiunsero allora altre qualità divine, necessarie alla formazione e allo sviluppo degli innumerevoli percorsi di crescita di cui l’umanità delle origini, compatibilmente con il livello di coscienza raggiunto, ebbe esperienza.
Una di queste è quella che può essere descritta dal concetto di rinuncia creativa.
Per comprendere il significato qualitativo più proprio della “rinuncia creativa”, occorre riferirsi al fatto che ciò che pare essere importante sul piano fisico, e cioè nel corso dell’incarnazione terrestre dell’uomo, di solito non lo è altrettanto sul piano spirituale.
Avviene infatti che: laddove qualcosa, per essere compiuto sul piano fisico, sembra richiedere un sempre maggiore sforzo volitivo, cioè un’azione compiuta con maggiore intensità, quando si è sul piano spirituale, le azioni più significative comportano, come necessaria, una rinuncia ad operare.
Detto in altre parole, ed esemplificando, si può infatti dire che, su un piano spirituale, i maggiori risultati si ottengono ponendo un freno alle spinte che giungono dalle regioni inferiori dell’anima, che sono governate dall’egoismo, e non assecondando desideri e brame rinunciando piuttosto a soddisfarli, lasciando così campo libero all’affermarsi della Volontà del Cielo.
L’episodio biblico del “sacrificio di Isacco” descrive appunto la rinuncia del Dio-Creatore al sacrificio che Abramo si accingeva a compiere, e che avrebbe condotto all’uccisione del figlio.
Dio rinuncia qui ad avere Isacco con sé nei mondi spirituali, per rendere possibile la continuazione della stirpe ebraica, del processo evolutivo in corso sulla terra ed, infine, del concretizzarsi del progetto divino.
Cosa vediamo accadere dunque, tornando all’oggetto del nostro studio, nella scena rappresentata da Leonardo nel Cenacolo, se proviamo a guardarla cercando di riconoscerne il senso più profondo?
Volendo leggere l’episodio limitandosi ad applicare una logica terrena ci si troverebbe di fronte a qualcosa di paradossale: il Cristo, pur essendo consapevole del tradimento in corso ad opera di Giuda, non fa nulla per evitarne le conseguenze.
Egli spiegherà, in un passo successivo ai discepoli che volevano sottrarlo all’arresto, come la sua rinuncia a difendersi fosse un gesto voluto, necessario al fatto che si compissero le Scritture, “secondo le quali così deve avvenire”. (2)
La rinuncia del Dio deve dunque compiersi, e sarà una rinuncia tale da comportare l’estremo sacrificio, culminato in seguito con l’evento del Golgota.
Leonardo ci parla dunque nel suo dipinto di una qualità divina, la rinuncia, illustrandocela nel suo farsi, in una scena carica di tensione ma anche, e soprattutto, di una superiore fermezza.
Questo non-agire cristico, di fronte alla possibilità di sottrarsi all’imminente supplizio, ha qualcosa di sovra-umano, che davvero Leonardo esprime magistralmente nell’equilibrio sospeso dell’azione trattenuta.
In realtà, guardando la vicenda nel suo complesso, la rinuncia del Cristo ha origine ancor prima di ciò che avviene nel corso della Cena, ed ha a che fare con l’accoglimento di Giuda nella cerchia dei discepoli.
Accogliere Giuda, al punto di averlo poi tra i commensali della celebrazione pasquale, significa rappresentare archetipicamente l’accoglimento del male nel progetto divino, significa rappresentare la necessità dell’errore di fronte al compimento del grande disegno evolutivo che deve avere il suo corso.
Ma vi è anche un altro aspetto, connesso con le qualità divine della rinuncia, che emerge in questa grandiosa rappresentazione, e che si esprime nella sensazione di sospensione temporale che da essa promana.
La rinuncia del Cristo ha qui il carattere del sottrarsi al corso del divenire storico, che invece è ben rappresentato dal declinarsi dei differenti caratteri dei dodici, i quali appaiono soggetti con evidenza all’azione delle più varie influenze astrali.
Il tempo cristico si presenta qui come un tempo cosmico, che echeggia la posizione assunta dalle superiori potenze celesti all’atto della Creazione, e che pone al centro l’immortalità dello Spirito rispetto al divenire caotico della materia.
“Quando in mezzo ai suoi apostoli ci appare il Cristo, che sulla Terra è il vincitore della morte, il Cristo che sulla Terra supera la morte e ci mostra il trionfo dell’immortalità, veniamo rimandati al significativo momento universale in cui gli dèi si separarono dallo stato temporale dell’esistenza, riportando vittoria sull’esistenza temporale, e conseguirono lo stato dell’immortalità.”(3)
Tutto questo rappresenta in effetti Leonardo, trasmettendocelo “da cuore a cuore” così come solo i massimi artisti sanno fare.
Ed occorre dire qui che gli strumenti pittorici e compositivi che egli padroneggia e di cui scrive la critica convenzionale, acquistano un valore particolare proprio perché messi al servizio di un messaggio di qualità più alta. Non un messaggio effimero, ma dotato di una sua necessità, connessa con le esigenze evolutive di una umanità a venire che si ponga in ascolto.
Non sappiamo oggi se Leonardo fosse consapevole delle dinamiche connesse con la creazione del cosmo e dei compiti assunti all’origine dalle diverse potenze angeliche, o se in lui vivessero semplicemente particolari forze in grado di connetterlo, senza piena coscienza, con le massime verità del mondo.
Quello che sappiamo è che certamente in lui si compì questa mirabile congiunzione tra capacità espressive elevatissime e profondità di contenuti, che costituisce il tratto più importante e meritevole di attenzione della sua opera.
Certamente l’arte del passato, e quella di Leonardo in particolare, ci mostrano come fosse essenziale connettersi, nelle opere, con i grandi temi dell’esistenza umana, e ci inducono, con la loro bellezza, a riportare al centro tali argomenti nello studio e, auspicabilmente, nell’esercizio della critica d’arte, che invece si fa vanto di aver preso, soprattutto nell’ultimo secolo, tutt’altra direzione.
NOTE:
1) Vedi soprattutto: Rudolf Steiner, “L’evoluzione secondo verità”, Editrice Antroposofica, Milano, 2004.
2) “O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?” – Matteo 26, 53.
3) Rudolf Steiner, ibid. pag 50.
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