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Una storia grandiosa, commovente, dura, sublime, a volte raccapricciante.
Una storia dei popoli che è chiamata a confrontarsi con le tante storie degli individui, ciascuno con i suoi limiti e le sue qualità, in un rapporto serrato, preciso, implacabile.
Una storia di redenzione, in cui l’accanimento del destino non ha altro effetto che innalzare le coscienze ad un livello ancora superiore, dando un senso alle sofferenze ed alla vita di sacrificio.
Una storia di alti ideali, che messi a confronto con l’abiezione alimentata dai più diversi egoismi, rifulgono di una luce così limpida da divenire quasi profetica.
Victor Hugo pubblica “I Miserabili” nel 1862.
Nel passo riportato di seguito è descritta una scena ambientata nella Parigi del 1832, durante una sommossa antimonarchica esauritasi nel sangue dopo soli due giorni.
Un gruppo di studenti costruisce e presidia una barricata di fronte all’esercito schierato, decidendo di difenderla al costo della propria vita.
Ad un certo punto uno degli insorti, in seguito identificato come poliziotto infiltrato nei disordini, commette un omicidio non giustificato di fronte ai suoi compagni.
Buona lettura
“Il portinaio non terminò : la fucilata era partita : la palla gli era entrata sotto il mento ed era uscita dalla nuca, dopo aver attraversato la carotide. Il vecchio s’abbatté su se stesso senza emettere un sospiro.
La candela cadde e si spense, e non si vide più altro che una testa immobile posata sull’orlo del finestrino, e un po’ di fumo biancastro che saliva verso il tetto.
« Ecco ! » disse Le Cabuc lasciando ricadere sul selciato il calcio del fucile.
Aveva appena pronunciato quella parola che sentì una mano posarglisi sulla spalla con la pesantezza d’un artiglio d’aquila, e una voce dirgli :
« In ginocchio! ».
L’assassino si voltò e vide davanti a sé il viso bianco e freddo d’Enjolras. Questi impugnava una pistola.
Alla detonazione egli era sopraggiunto.
Aveva afferrato con la sinistra il bavero, il camiciotto, la camicia e le bretelle di Le Cabuc.
« In ginocchio » ripeté, e con un gesto sovrano, l’esile giovane ventenne piegò come una canna il facchino atticciato e robusto e lo fece inginocchiare nel fango. Le Cabuc tentò di resistere : ma sembrava che fosse stato agguantato da un pugno sovrumano.
Pallido, col collo nudo, i capelli scompigliati, e il volto femmineo, in quel momento Enjolras aveva qualcosa della Temi antica (1); le narici dilatate e gli occhi abbassati davano al suo implacabile profilo greco quella espressione di collera e di castità che, secondo gli antichi, si addice alla giustizia.
Tutta la barricata era accorsa, poi tutti s’erano disposti in cerchio a una certa distanza sentendo ch’era impossibile pronunciare una parola dinanzi a ciò che stavano per vedere.
Le Cabuc, vinto, non tentava più di dibattersi e tremava da capo a piedi.
Enjolras lo lasciò andare e trasse di tasca l’orologio.
« Raccogliti » disse « Prega o pensa. Hai un minuto. »
« Grazia » mormorò l’assassino ; poi chinò la testa e balbettò qualche bestemmia inarticolata.
Enjolras non cessò di guardare l’orologio; lasciò passare un minuto, poi rimise l’orologio nel taschino. Fatto questo, prese per i capelli Le Cabuc che gli si raggomitolava contro le ginocchia urlando e gli appoggiò all’orecchio la canna della pistola. Molti di quegli uomini intrepidi, che con tanta tranquillità s’erano cacciati nella più spaventosa avventura, voltarono il capo dall’altra parte.
Si udì un’esplosione, l’assassino cadde sul selciato con la fronte in avanti, ed Enjolras si alzò girando attorno a sé lo sguardo convinto e severo.
Poi spinse col piede il cadavere e disse :
« Gettate fuori questa roba ».
Tre uomini sollevarono il corpo del miserabile, agitato ancora dalle ultime convulsioni macchinali della vita che si spegne, e lo gettarono dal di sopra della piccola barricata, nella viuzza Mondétour.
Enjolras era rimasto pensieroso. Sulla sua terribile serenità si spandevano lentamente non si sa quali tenebre grandiose. Improvvisamente alzò la voce.
Si fece silenzio.
« Cittadini, » disse Enjolras « ciò che ha fatto quest’uomo è spaventoso e ciò che ho fatto io è orribile. Egli ha ucciso, e perciò io l’ho ucciso. Ho dovuto farlo, perché l’insurrezione deve avere la sua disciplina. L’assassinio è delitto qui ancor più che altrove ; noi siamo sotto lo sguardo della rivoluzione, siamo i sacerdoti della repubblica, siamo le ostie del dovere, e bisogna che non si possa calunniare la nostra battaglia. Io ho quindi giudicato e condannato a morte quest’uomo. Quanto a me, costretto a fare quello che ho fatto, ma aborrendolo, mi sono pure giudicato e voi vedrete presto a che cosa mi sono condannato. »
Coloro che ascoltavano trasalirono.
« Noi condivideremo la tua sorte » gridò Combeferre.
« E sia » riprese Enjolras. « Ancora una parola. Giustiziando quest’uomo ho obbedito alla necessità ; ma la necessità è un mostro del vecchio mondo, la necessità si chiama fatalità. Ora la legge del progresso esige che i mostri scompaiano davanti agli angeli e che la fatalità svanisca davanti alla fraternità. È questo un brutto momento per pronunciare la parola amore. Ma non importa : io la pronuncio e la glorifico. Amore, l’avvenire è tuo. Io mi servo di te, morte, ma ti odio. Cittadini, nell’avvenire non vi saranno né tenebre, né fulmini, né ignoranza feroce, né taglione sanguinoso. E poiché non vi sarà più Satana, non vi sarà più San Michele. Nell’avvenire nessuno ucciderà, la terra splenderà e il genere umano amerà. Verrà, cittadini, il giorno in cui tutto sarà concordia, armonia, luce, gioia e vita ; sì, esso verrà. E proprio perché venga quel giorno, noi stiamo per morire. »
Enjolras tacque. Le sue labbra di vergine si chiusero, ed egli rimase per qualche istante in piedi nel punto dove aveva versato il sangue, in un’immobilità marmorea.
Il suo sguardo fisso faceva sì che si parlasse sottovoce intorno a lui. ” (2)
NOTE :
1) Thèmis, personaggio della mitologia greca, considerata personificazione della giustizia e del diritto.
2) In : Victor Hugo, “I Miserabili”, Rizzoli, Milano, 1998. Traduzione di Valentino Piccoli. Pagg. 1048 – 1050.