Un linguaggio nascosto (1).
Abbiamo visto come, gran parte degli edifici sacri del passato, e, nello specifico, delle chiese medievali, avesse ben altra funzione rispetto a quella di essere semplici luoghi di culto. E come in realtà questi edifici fossero progettati per far sì che la loro struttura riproducesse in qualche modo la struttura umana più sottile, fino al punto di poter entrare in risonanza con essa attivando processi energetici tali che fossero d’aiuto alla crescita spirituale dell’uomo stesso.
Ma non erano soltanto la forma, la disposizione dei volumi, le sequenze degli spazi ed i particolari rapporti architettonici tra le parti a caratterizzare quegli edifici in modo da renderli dei veri e propri luoghi d’iniziazione. Vi era infatti in essi anche un cospicuo repertorio di immagini, decorazioni ed elementi espressivi di vario tipo che concorreva a creare in chi vi accedeva quella particolare atmosfera interiore che era necessaria perché una vera esperienza dello spirito potesse concretizzarsi.
Era un repertorio fatto di simboli, di rappresentazioni archetipiche, di immagini sacre che in vario modo provenivano da un’antica sapienza iniziatica e che, se giustamente interpretati, avrebbero attivato nell’anima del visitatore una sorta di “riordino” e di purificazione. Il vivere interiormente tali esperienze avrebbe quindi permesso a chi si trovava nella chiesa di elevare la propria “frequenza” in modo tale per cui, al termine del percorso, gli sarebbe stato possibile entrare direttamente in comunicazione con esseri di livello spirituale superiore.
Sui muri, sui soffitti, sui pavimenti di quegli edifici si esprimeva dunque un “linguaggio nascosto” che, pur essendo in gran parte andato perduto a causa del deperimento o della distruzione dei manufatti intervenuta nell’arco di tempo trascorso, in alcuni casi si è conservato, mantenendo un’efficacia comunicativa ancora in grado di risvegliare la nostra sensibilità, per ricordarci il senso e l’importanza della nostra esperienza terrena ed, in generale, del destino cosmico dell’uomo.
La facciata.
Ricca di tutte le forme ed elementi espressivi che originariamente la componevano, la facciata delle chiese medievali aveva diverse funzioni. Da un lato serviva a presentare, riassumendolo in qualche modo, il carattere generale dell’edificio, anticipando, in parte, quanto si sarebbe trovato all’interno. E dall’altro era predisposta in modo di “preparare”, interiormente, chi si accingeva a varcare la soglia d’ingresso perché fosse in grado di intraprendere col giusto stato di coscienza il percorso spirituale che lo attendeva.
Andati in gran parte perduti gli affreschi che un tempo occupavano le grandi superfici libere esterne, si trovano tuttavia spesso ancora al loro posto i principali elementi architettonici, quali finestre, rosoni, protiri, portali, lunette e colonne, ciascuno opportunamente decorato, da cui trarre indicazioni precise sui messaggi che sarebbero dovuti giungere a quanti si preparavano ad entrare per assistere alla funzione religiosa.
Il rosone.
Considerato elemento caratteristico dell’architettura romanica, il rosone è quella grande apertura di forma circolare situata ad una certa altezza sopra l’ingresso delle chiese, in corrispondenza della navata centrale, che è stato in seguito utilizzato anche nell’architettura gotica.
Spesso accuratamente decorato e circondato da segni zodiacali e planetari, nel suo significato simbolico il rosone rappresentava il sole, che a sua volta, seguendo l’interpretazione che ne dava il cristianesimo originario cosiddetto “profondo”, rappresentava il Cristo Creatore.
Era attraverso il rosone che i raggi del sole, ad una certa ora del giorno, potevano penetrare nel “corpo” della chiesa, fecondandola figurativamente, ricongiungendo nell’unione originaria le componenti maschile e femminile della divinità, che furono un tempo separate nella dinamica della creazione.
Attorno al rosone, accanto ai simboli zodiacali e planetari, si poteva trovare direttamente l’immagine del Cristo, con a sua volta accanto i quattro Evangelisti rappresentati in forma di esseri angelici appartenenti alla seconda gerarchia (aquila, toro, leone e uomo angelicato) a testimoniare le principali qualità che, nella loro combinazione armonica, entrarono in gioco e furono presenti quando il cosmo venne creato.
L’ingresso.
L’apertura principale tramite cui si accedeva alla chiesa era evidentemente un punto particolarmente significativo nel percorso rituale che il visitatore si apprestava ad iniziare, ed era solitamente un luogo ricco di numerosi elementi espressivi, che si distribuivano nei vari componenti architettonici che la decoravano.
Tutte le infinite varietà di cornici in pietra, lavorate a scalpello, che rappresentavano intrecci vegetali e floreali, a volte popolate da omini ed esserini, servivano a segnalare che quello era l’accesso ad un’altra dimensione, diversa da quella del mondo fisico in cui normalmente si viveva.
Era quello il confine con il mondo eterico, quel mondo invisibile in cui circolano le energie che danno la vita, senza le quali le piante (che lo rappresentano) non sarebbero altro che immobile materia minerale.“Chi entra qui”, segnalavano quelle cornici, “si avventura in un mondo in cui si va oltre le percezioni”, un mondo che normalmente non si vede ma senza il quale non vi sarebbe vita.
Allo stesso modo l’idea del passaggio ad un’altra dimensione poteva essere rafforzata dalla presenza di acqua, sia che questa fosse fisicamente presente grazie alla vicinanza di un pozzo, sia che fosse rappresentata simbolicamente tramite la ripetizione lineare del relativo ideogramma egizio, oppure addirittura dal livello più basso del pavimento interno alla chiesa, entro cui si scendeva ricordando in questo modo l’attraversamento del fiume Lete (il fiume del non ricordo) oltre il quale si accedeva, secondo le conoscenze iniziatiche, al mondo dello spirito.
Nel caso, non infrequente, in cui la chiesa fosse stata dedicata in particolare al Divino Femminile, alla componente femminile della divinità che rappresentava la coscienza cosmica, era allora possibile veder rappresentata direttamente Maria, magari nella lunetta sopra il portale, oppure i simboli legati ad essa, quali la stella ad otto punte o la colonna ottagonale “sofianica”, a simboleggiare quella forma di conoscenza profonda (la sophia) che abbraccia entrambe le dimensioni, quella visibile e quella invisibile e che sta alla base di ogni vero percorso di crescita spirituale.
I mostri dell’anima.
Ma per preparare il percorso all’interno della chiesa era necessaria anche un’altra cosa. Serviva evitare che, una volta entrati, si potesse essere distratti dalle passioni più “basse”, quelle più incontrollate, che avrebbero impedito di elevare il proprio stato di coscienza e vivere un’esperienza spirituale positiva.
Sentimenti come la rabbia, la paura, l’odio, il desiderio sessuale non dovevano condizionare lo stato d’animo di chi entrava, e per questo si faceva in modo di allontanarli ricorrendo a qualcosa di simile a delle “sedute” di psicoterapia accelerata.
Tutto quel repertorio di animali mostruosi che veniva rappresentato sulle facciate e sui capitelli delle chiese, che normalmente viene considerato un insensato bestiario medievale, rappresentava in realtà nel dettaglio proprio quei sentimenti “bassi”, che venivano visualizzati per ciò che in effetti essi erano, e cioè degli esseri spirituali di qualità inferiore che infestavano l’anima delle persone influenzandone quotidianamente i comportamenti.
Posti allora di fronte all’immagine di quelle passioni, che, rappresentate archetipicamente, essi sentivano risuonare dentro di loro, coloro che entravano in chiesa venivano aiutati da guide spirituali, che erano presenti sul posto, a riconoscerle.
Quindi, completata questa operazione, essi venivano consigliati di non portarsele oltre ma di lasciarle fuori, liberandosene, per proseguire senza troppi “vincoli” il percorso all’interno della chiesa.
Ecco il motivo per cui, soprattutto nelle parti esterne delle chiese romaniche e gotiche, si trovavano raffigurazioni di esseri mostruosi nell’atto di aggredire o terrorizzare qualche figura umana posta lì di fianco. Era quella la rappresentazione occulta, ma realistica, di quanto avveniva normalmente, nella vita di ogni giorno, all’anima umana.
Tenuta quasi sempre in ostaggio da forze incontrollate, dalle quali ora poteva scegliere di liberarsi, l’anima umana iniziava ad avere la possibilità di proseguire “leggera”, lontana dalle correnti e dai vortici delle passioni provenienti dal passato, nel proprio cammino di crescita spirituale che aveva cominciato, finalmente, a riconoscere.
(Fine quarta parte)
NOTE:
- I contenuti di questo articolo provengono in massima parte da quanto trasmesso da Fausto Carotenuto, studioso e ricercatore dello spirito, nel corso di alcune conferenze pubbliche tenutesi di recente.
Personalmente, avendo trovato di estremo interesse tali contenuti, soprattutto se confrontati con le mie precedenti esperienze nel campo dell’architettura, ho cercato di riassumere e dar forma scritta a quanto ascoltato nelle varie occasioni, unendo al testo alcune immagini ad esso collegate per maggior chiarimento di quanto presentato. - Argomenti correlati:
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