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Arte, Goethe, mosaico, Ravenna, Roma, S.Ambrogio, teoria dei colori
Nei secoli che seguirono la pubblicazione dell’editto di Milano, con cui Costantino sanciva nel 313 la libertà di culto sul territorio romano, mentre si assistette al progressivo accentuarsi del processo di disgregazione che aveva già condotto alla divisione del potere tra Roma e Bisanzio fino alla definitiva caduta dell’impero d’occidente nel 476, ci si trovò contemporaneamente di fronte al nascere ed al diffondersi, a Roma ed in altri centri della penisola, di una nuova forma di espressione artistica.
Il fatto nuovo, che si era verificato 300 anni prima e che avrebbe cambiato completamente il corso della storia umana, era stato la venuta di Cristo in Palestina, cui era seguito un processo di evangelizzazione abbastanza rapido dei territori dell’Impero. Processo che non avrebbe risparmiato neppure la stessa Roma, in cui si ebbe testimonianza della diretta presenza, dell’attività di predicazione e del successivo martirio dell’apostolo Pietro e di San Paolo.
Non appena divenne chiara la portata rivoluzionaria della Parola di Cristo, rivelatasi capace di mettere in crisi i fondamenti del potere imperiale agendo direttamente nei cuori della gente, la diffusione del cristianesimo cominciò ad essere osteggiata in ogni modo e si ebbe, nel corso dei tre secoli che seguirono, il drammatico corso delle persecuzioni che colpirono le prime comunità cristiane, costrette a ritrovarsi ed a praticare il proprio culto in clandestinità.
La nuova arte dunque, che accompagnava questo delicato ed importante passaggio della storia umana e che era direttamente collegata con l’esperienza spirituale dei primi cristiani, non poté sorgere compiutamente finché il cristianesimo non fu accettato dal potere imperiale, che poi, paradossalmente, fu costretto ad appropriarsene ed a diffonderlo, pur di mantenersi nella posizione di dominio che aveva occupato fino ad allora.
Le nuove espressioni artistiche presero così consistenza a partire dal IV secolo e lo fecero nelle forme che in parte derivavano loro dalla precedente tradizione pagana.
A partire dal repertorio classico ed ellenistico conosciuto vi fu tuttavia un sostanziale rinnovamento delle modalità espressive utilizzate, che tesero subito ad “umanizzarsi”, a liberarsi cioè dai loro tratti più alteri e celebrativi, mescolandosi ad una figuratività di diversa provenienza e più vicina alla sensibilità popolare. I temi trattati erano tutti rivolti ad illustrare il messaggio evangelico, a volte in modo apparentemente ingenuo e didascalico, presentandolo sia in forma di racconto per sequenze di immagini, che, in altre circostanze, utilizzando singoli episodi o personaggi, che venivano rappresentati in chiave archetipica.
L’arte praticata dai primi cristiani si contraddistingueva soprattutto per la sua semplicità ed immediatezza, che tuttavia nulla toglievano alla profondità del messaggio spirituale di cui si facevano portatrici. Immagini e simboli erano infatti scelti e studiati con cura, in modo da agire, non intellettualisticamente ma per via di sentimento, direttamente sull’anima di chi si apprestava a cominciare il nuovo ed impegnativo percorso verso una spiritualità più elevata.
Nel mosaico di Santa Pudenziana in Roma la figura centrale del Cristo trionfante in trono è posta a collegamento delle due dimensioni: quella inferiore dell’evangelizzazione terrena affidata in modo diverso agli apostoli, Pietro e Paolo, e quella superiore spiritualizzata della Gerusalemme Celeste, separata in basso da una fascia dorata tripartita e dominata al centro dalla Croce del Risorto, anch’essa spiritualizzata e trasformata in oro e gemme preziose.
Intorno alla figura del Cristo i quattro evangelisti, rappresentati in forma di esseri angelicati (il cosiddetto tetramorfo), sono espressione delle quattro principali qualità creatrici divine che assistono e collaborano anch’esse alla formazione della nuova società celeste.
Ed è appunto con l’uso del mosaico, tecnica già nota nel mondo classico ed utilizzata correntemente per la decorazione di sontuose residenze patrizie che ritroviamo ora nei mausolei e nei principali luoghi di culto, che troverà espressione compiuta un’arte intenta a restituire sacralità profonda all’esperienza spirituale rappresentando le storie ed i temi della redenzione e raffigurando i vari personaggi che a tale immaginario appartenevano.
La divisone dell’Impero tra oriente ed occidente, avviatasi alla fine del III secolo, non ostacolando i rapporti con la cultura orientale, forse addirittura facilita, negli scambi anche di tipo commerciale, l’incontro con l’arte bizantina, in cui la tradizione aniconica (1) di matrice medio-orientale accentua la cura verso l’impiego dei materiali più preziosi e fortemente espressivi, utilizzati con grande efficacia sulle superfici interne e sui soffitti delle nuove chiese.
Si diffonde così anche in Italia, certo incoraggiato da quest’incontro, l’uso decorativo del mosaico come finitura interna delle architetture sacre, di cui si conoscono vari esempi. Una tecnica artistica che, grazie all’impiego di materiali durevoli dai colori brillanti, ha fatto sì che diversi capolavori di quest’arte arrivassero fino ai giorni nostri praticamente intatti, mantenendo le stesse qualità espressive che avevano in origine.
Ecco allora che santi ed immagini divine cominciano ad essere rappresentati su fondali interamente d’oro, su cui la loro aureola può addirittura in certi casi riverberare ulteriormente in toni argentei o più caldi.
Ed ecco comparire, come finitura di soffitti e altre parti architettoniche che evocano nelle loro forme la volta celeste, i cieli stellati, le cui stelle, anch’esse d’oro, sfavillano irraggiando la loro luce su misteriose ed avvolgenti profondità di intenso color blu oltremare.
E sono proprio le qualità dei materiali, la loro brillantezza e gli effetti di luce che si determinano nella semioscurità di quegli ambienti che possiamo immaginarci, così com’erano, illuminati dalla fiamma viva delle lucerne là dove i raggi solari non colpiscono direttamente, a far nascere in chi li osserva il senso di una sacralità nuova che, a quel tempo, si comincia a scoprire.
Gli effetti generati da quell’incontro di colori opposti, il blu del cielo ed il giallo delle stelle, sono quelli di un movimento alternato che si vive interiormente, che vuole congiungere e poi separare, espressione di una legge eterna e creatrice che, come ci spiega Goethe nei suoi studi sul colore, si incontra da sempre nella natura e nell’uomo. (2)
E quegli effetti vengono poi anche amplificati, grazie alla qualità data dall’oro, il metallo più nobile, in grado di aggiungere al senso di regalità e di splendore intrinseco alla sua natura anche quell’idea di intimità e di calore, necessari entrambi per scendere nella propria interiorità e raccogliersi in preghiera.
A partire dalle prime opere a mosaico, realizzate nell’antica basilica di Ambrogio a Milano, allora capitale dell’impero d’occidente, si procede quindi attraverso le varie fasi dell’arte ravennate.
A Ravenna, tra il V e il VI secolo, di passa dallo spazio raccolto del Mausoleo di Galla Placidia alle navate e all’abside di Sant’Apollinare in Classe, fino a giungere infine alla basilica di San Vitale, capolavoro assoluto fra le chiese paleocristiane a pianta centrale, che anticipa per molti aspetti quella che sarà la Cappella Palatina di Aquisgrana, massima espressione dell’arte carolingia realizzata quasi 300 anni dopo.
NOTE :
1) Aniconico (= privo di immagine). Dicesi anche di culto o religione che non ammettono immagini di idoli o divinità.
2) Johann Wolfgang Goethe, “La teoria dei colori”, Il Saggiatore, Milano 2014.
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