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Nella seconda metà degli anni ‘70 il clima della contestazione giovanile era già profondamente cambiato.

Il grande movimento di opposizione al sistema, che si fondava sull’idea di pacifismo, sulla ricerca del senso vero della vita, e che si era formato a partire dai grandi ideali di libertà, di uguaglianza e di fraternità, aveva lasciato il posto a contrapposizioni ideologiche radicali che sempre più spesso tendevano a sfociare in episodi di violenza.

Erano gli anni in cui in Italia le azioni dei numerosi gruppi politici extraparlamentari che si erano formati riempivano quotidianamente le cronache dei giornali. Erano gli anni dell’Autonomia Operaia, delle Brigate Rosse, e poi del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro.

La politica non era già più terreno di confronto sui grandi temi economici e sociali ma era diventata un campo in cui si fronteggiavano posizioni ideologiche precostitutite, che progressivamente tendevano a perdere il loro significato e la loro ragion d’essere.

Era quello uno scenario che disorientava le generazioni più giovani, che, affacciandosi alla vita reale, non comprendevano le ragioni di quelle lotte, la cui matrice pareva essere dovuta a motivi di puro schieramento politico.

Le rivendicazioni sociali, che avrebbero dovuto costituire il fondamento di una società nuova, erano sempre più ridotte a semplici slogan e separate da ogni possibile visione riformatrice che le comprendesse organicamente.
Il dibattito politico si limitava a reciproci scambi di accuse ed aveva come unico scopo quello di individuare un nemico da combattere, cui si potessero addebitare le colpe di tutto ciò che si riteneva sbagliato od ingiusto.
Il colore intenso degli ideali giovanili, che nei primi tempi aveva scaldato i cuori di tanti ragazzi, era ormai sbiadito, e si consumava nelle stanche forme della militanza e delle ritualità collettive, che venivano ripetute per abitudine più che per vera convinzione.

Ciò che accadeva in quegli anni non era tuttavia senza significato, e serviva, oggi lo si può dire, a preparare il campo a ciò che sarebbe successo di lì a poco.

Erano, quelli che stavano sopraggiungendo, gli anni del nascente socialismo rampante, gli anni della “Milano da bere” e degli echi dell’edonismo reaganiano che risuonavano, come sovente accade, da oltreoceano.

I primi anni ottanta giunsero così a sancire, nell’indifferenza generale, il ridimensionamento dei vecchi ideali e delle ideologie, lasciando spazio a forme di appartenenza a correnti di varia natura, tutte a vocazione clientelare, che avevano in fondo un obbiettivo comune: la conquista di porzioni sempre più grandi di potere e l’ottenimento di vantaggi e benefici individuali immediati.

Eravamo entrati negli gli anni del “craxismo” in politica, che videro l’ascesa di personaggi dell’imprenditoria in grado di ottenere successi rapidissimi assieme a grandi disponibilità economiche di investimento. Anni nei quali, come spesso capita di notare, si trovarono gli uomini giusti al posto giusto ed al momento giusto. Erano gli anni in cui si affermò e divenne “qualcuno” Silvio Berlusconi.

Figura ampiamente discussa e certamente controversa, quella di Berlusconi assunse rilevanza a livello politico con la nascita di “Forza Italia”, il partito da lui fondato nel 1994 che assunse l’eredità elettorale della Democrazia Cristiana, dopo che questa venne annientata in quella serie di operazioni politiche identificate in seguito col nome di “Tangentopoli”.

Ma benché in seguito egli venne eletto Presidente del Consiglio a più riprese nel periodo che va dal 1994 al 2011 (1), non fu tanto la personalità politica di Berlusconi ad incidere sulla trasformazione del Paese quanto piuttosto un vasto fenomeno socio-culturale che lo vide protagonista e di cui la sua esperienza politica rappresentò soltanto un aspetto.

Berlusconi ebbe infatti occasione di rappresentare, in virtù della costruzione del proprio personaggio di imprenditore di successo e dei comportamenti che volta a volta assumeva, un ruolo di riferimento nella definizione di un vero e proprio modello culturale che veniva ad insediarsi in quegli spazi di coscienza che la contestazione degli anni sessanta e la loro deriva ideologicizzata avevano lasciato vuoti.

Va detto subito, perchè non nascano pericolosi equivoci, che tutto ciò che nasceva e si sviluppava diffondendosi in ambiente berlusconiano, non era “cultura” nel senso proprio del termine, ma una forma culturale degradata, priva di spinte ideali e purtuttavia carica di condizionamenti e visioni fuorvianti rispetto alla realtà della vita.

Si trattava inoltre di una forma culturale sostanzialmente priva di etica, che si poneva la ricerca del vantaggio materiale immediato come primo obbiettivo, dando alimento alla naturale predisposizione egoistica che caratterizza la gran parte dei comportamenti umani.

Era una cultura che nasceva da una visione materialistica ingenua ed un po’ becera, che circoscriveva un limitato orizzonte di interessi fruibili formalizzandosi in determinati stili di vita.

In essa veniva espresso un sistema di valori che appariva regredito ad uno stadio quasi primordiale : l’accumulo di beni e ricchezze, la costante ricerca del piacere sensoriale, e la conseguente deformazione del rapporto tra uomo e donna, che veniva ridotto in massima parte alla sua componente semi animalesca attrattivo-sessuale.

Anche le attività ludico-sportive erano sostenute e promosse, privilegiandone però gli aspetti competitivi con una particolare attenzione rivolta al mondo del calcio, che veniva elevato al rango di materia di interesse quotidiano secondo un modello di informazione scandalistico-deteriore.

Era dunque quella del cosiddetto “berlusconismo” una vera e propria cultura del “degrado culturale”, che si valeva oltretutto della possibilità di essere potentemente amplificata e diffusa attraverso il megafono rappresentato da numerosi mass-media, ed in particolare dalle televisioni commerciali.

Diffusosi anch’esso sul finire degli anni ‘70, il modello della televisione commerciale incontrò presto un largo successo di pubblico, consolidandosi, in un’ottica quasi monopolistica, nelle tre principali reti di proprietà berlusconiana.

Queste ebbero un ruolo molto importante nel trasformare “dall’interno” lo stile di vita delle famiglie italiane affiancando la diffusione gratuita di numerosissimi programmi-spazzatura alla somministrazione incontrollata di messaggi pubblicitari di ogni tipo.

L’effetto ottenuto fu quello di condizionare i comportamenti della maggior parte degli utenti al punto di ridurli frequentemente al puro consumo di oggetti privi di qualsiasi utilità.

Il modello della società dei consumi, che il movimento di contestazione degli anni sessanta aveva cercato genuinamente di mettere alla porta, rientrava così, in dosi massicce, anche dalla finestra, producendo nelle giovani generazioni, soprattutto grazie alla responsabilità di Berlusconi, un grande disorientamento e ritardandone la messa in atto di valide esperienze di crescita che non si esaurissero in un continuo manifestarsi di gesti egoistici e tentativi di reciproca sopraffazione.

Berlusconi ebbe dunque una parte importante (e non sappiamo quanto di ciò fosse consapevole) nella fabbricazione di una gigantesca illusione materialistica, in base alla quale la ricerca ed il possesso di beni serviva a costruire la strada verso il successo e la felicità mondani.
Una strada addobbata di immagini false e patinate, emblematiche di una forma di anti-cultura retriva e pecoreccia, che sarebbe stata presto trascinata, e lo stiamo vedendo, verso un inevitabile declino.

– O –

Qualcuno oggi vuole, per nostra buona sorte, operando da un piano di saggezza superiore, che anche le peggiori nefandezze, liberate dal velo dell’illusione, ci vengano mostrate per quello che esse sono. E questo pechè gli uomini imparino, facendo esperienza direttamente e fino in fondo, a compiere da soli il proprio cammino.

Non è quindi stato un caso che proprio Berlusconi, che aveva fatto della propria immagine un’illusoria bandiera, sia stato mostrato progressivamente decadere nell’aspetto fisico fino a ridursi ad una maschera, fabbricata chirurgicamente, di ciò che in origine aveva creduto di essere.

Una maschera grottesca, che è stata vista sino all’ultimo circondata da quei nani e ballerine che negli anni la avevano blandita per puro interesse materiale.

Quella maschera ci è apparsa infine addirittura incredula, di fronte al prospettarsi dell’imminente perdita di quel patrimonio di beni e potere che negli anni si era preoccupata, pagandolo a caro prezzo, di accumulare.

Crediamo quindi che, al di là della retorica di circostanza che impunemente viene spesa in questa, come in altre analoghe situazioni, il senso positivo, per tutti noi, della scomparsa di Berlusconi si trovi nell’esplicito disvelamento di quella gigantesca illusione.

Pensiamo che questa scomparsa si sia rivelata in fondo un’occasione per mostrare a tutti come la transitoria condizione di benessere materiale, che anche Berlusconi a tratti ha vissuto, non possa sensatamente divenire il fine di alcuna esistenza terrena, essendo la materia stessa strumento di qualcosa di più alto e di più vero.

Si può addirittura dire che Berlusconi appaia come una delle vittime, forse la più illustre, di quello stesso inganno che egli ha grandemente contribuito a diffondere, e di cui ora avrà modo di ottenere opportuna, ed inevitabile, contezza.

La sua, e nostra, storia, ovviamente, non finiscono qui, ed anche Berlusconi, o meglio quello spirito che abbiamo visto incarnato nel suo personaggio, avrà modo di riprendere il suo cammino e di liberarsi di quelle “incrostazioni dell’anima” che sono divenute anche per lui un doloroso strumento di crescita.

A noi non resta, anche se può sembrare strano, che di ringraziarlo, per aver svolto, a modo suo, un compito ingrato.
Il compito di mostrarci, con la sua rapida ascesa ed irrimediabile declino, la vacuità della fede nella materia e della sua servitù, così come si sperimenta in questo faticoso e bellissimo percorso di crescita che ci riguarda tutti, e che, sempre più precisamente, ci viene rivelato nella sua infinita grandezza.

NOTE :

1) Silvio Berlusconi fu Presidente del Consiglio dei Ministri in tre occasioni di governo : nel 1994-95, nel 2001-06 e nel 2008-11.