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“Oggi nella vita tutto è specializzato, ed è una cosa terribile”.
Rudolf Steiner

In antichità si riteneva che tutto ciò che ci circondava fosse stato creato da Dio. Ed il fatto che molti aspetti della Creazione avessero i caratteri della perfezione e non fossero accessibili alla mente umana veniva accettato serenamente.

I fenomeni della natura venivano osservati con venerazione perché vi si riconosceva la mano di un Dio creatore. Le cause di ciò che accadeva si riteneva fossero di origine soprannaturale ed era cosa accettata che tutto il divenire fosse attribuito all’azione di coscienze superiori alla nostra.

Ma come è cambiato, poi, il modo di comprendere la natura, dopo Cartesio e con l’applicazione dei metodi di Galileo e di Newton?

E soprattutto, quella che viene comunemente indicata come scienza moderna è davvero così capace di dare delle spiegazioni plausibili su come è fatto e come funziona l’ambiente in cui viviamo?

Ciò che in effetti oggi accade è che la grande maggioranza degli studi scientifici disponibili è costruita a partire dal postulato di base per cui determinati oggetti materiali esistono, in modo separato ed indipendente tra loro, nelle dimensioni dello spazio e del tempo.

Il ruolo della “scienza” è quello di indagare tali oggetti.
Il modo in cui la scienza opera occupandosi del mondo fisico è quello di tenere in considerazione esclusivamente i suoi aspetti quantitativi.

Vengono effettuate misurazioni estremamente accurate. Si studiano in modo approfondito le caratteristiche meccaniche delle varie componenti materiali.
Si analizzano i nessi analitico–causali tra un fenomeno registrato ed un altro, finché le ipotesi matematiche non suggeriscono modelli da applicare nella pratica per un determinato scopo che abbia una sua utilità.

La scienza contemporanea si rivolge alla natura senza più coltivare il senso di meraviglia e di devozione che discende dalla concezione della sua sacralità, e, alimentando la propria immagine di imparzialità e ritenendosi in grado di produrre un sapere oggettivo, tende, nei fatti, a considerarla una riserva di merci disponibili per il mercato.

A partire dalla fine del 1700 la natura è divenuta, più o meno consapevolmente, un terreno di conquista. Ed anche l’uomo, visto nel suo particolare modo di interagire con essa, ha sempre più dato prevalenza alle proprie facoltà di ragionamento in funzione del suo sfruttamento.

Le scienze attuali si basano soprattutto sulla razionalità e sull’esattezza; ed hanno come obbiettivo il progresso nella sua accezione “tecnologica”, suscitando comportamenti che contrastano con una visione comprensiva di un rapporto equilibrato dell’uomo con il proprio ambiente.

Le scienze naturali, nella loro caratterizzazione analitico-causale, hanno, in effetti sull’uomo un effetto intellettualizzante, tale per cui gli aspetti qualitativi della natura, che l’uomo ha tuttora, volendolo, modo di sperimentare, sono stati esclusi dall’elaborazione scientifica.

– O –

Volendo ora guardare a come questa nuova cultura scientifica sia stata tradotta nel campo dell’insegnamento si nota subito come la didattica tradizionale empirico-positivista, così come viene condotta oggi nelle scuole, non accetti un’ulteriore riflessione filosofica.

Essa non riflette su sé stessa, ma si limita a presentare la materia come se tutto fosse già stato chiarito ed accertato. Come se il sapere scientifico oggi raggiunto non potesse in alcun modo essere messo in discussione in virtù della sua oggettività e della sua esattezza.

In realtà le scienze naturali risultano esatte soltanto se presentate nella loro riduzione in formule.
Con l’elaborazione matematica, date certe premesse, il risultato è conseguente, poiché l’elaborazione è esatta (ciò è connaturato con la matematica).

È dalla matematica che si possono derivare la precisione, l’univocità e la definibilità, mentre, di per sé, la realtà non è riducibile.
Anzi, al contrario, la natura potrebbe essere vista come un’unità composta da individualità infinite. Un uno, in sé differenziato.

E se si riesce ad accettare l’idea che la realtà non derivi da una sommatoria di oggetti ma sia un organismo in sé capace di infinite differenziazioni, si capisce come il ricorso alle sole leggi matematiche produca una descrizione inaridita e parziale di qualcosa di molto più ricco e complesso. In pratica di qualcosa di vivo che viene studiato ed analizzato come se fosse morto.

Se, ad esempio si definisce la luce “un’onda elettromagnetica che si diffonde mediante raggi riconducibili a delle rette”, la si presenta come fatto a sé stante, esterno all’uomo, dotato di esistenza indipendente per la presenza di particelle piccolissime ordinate in un certo modo.
Quando invece un’osservazione obbiettiva ci dice che non avrebbe senso parlare di luce se non vi fossero occhi capaci di riconoscerla.

Se ci si fa caso la distanza tra questi due punti di vista è davvero grande.

Ma siccome l’aspetto qualitativo dell’esperienza pre-razionalizzata, che ha a che fare con l’individualità della percezione e che condurrebbe ad un’osservazione più completa ed approfondita del fenomeno fisico, all’apparenza non si presta ad una misurazione oggettiva, esso viene rifiutato dalla scienza moderna.

L’esattezza, o almeno ciò che si ritiene essa sia, risiede, per la scienza contemporanea, soltanto sul versante quantitativo dell’esistenza.
Pertanto le scienze naturali contemplano il mondo operando riduzioni condotte in modo unilaterale.

Esse teorizzano l’esistenza di un mondo oggettivo ed autonomo, composto in modo casuale da infiniti ragguppamenti di particelle microscopiche, e diposto in un punto qualsiasi dell’universo infinito.

Ma può davvero esistere una realtà del tutto indipendente dall’uomo?
Da dove nasce la visione di un mondo a sé stante che non contempli la presenza ed il ruolo degli esseri umani quali suoi principali abitatori?

Essa deriva, in effetti, da una visione puramente intellettuale e separata della realtà, che contempla come possibile e praticabile scientificamente l’osservazione “dall’esterno” della realtà stessa.
Una realtà di cui l’uomo potrebbe far parte oppure no.

Per fare un paragone con la fisiologia umana, è un po’ come se la testa (sede dell’attività intellettuale) contemplasse il resto del corpo ritenendo di non farne parte e cercasse di comprenderne il funzionamento.

È abbastanza chiaro, quindi, che si tratta di una visione paradossale, che può risultare plausibile solo all’interno di una dimensione astratta della realtà (che è già di per sé una contraddizione di termini).

Essa viene tuttavia accettata, così come si accreditano con disinvoltura teorie generali formulate a partire da osservazioni circostanziate, magari condotte in situazioni riprodotte in laboratorio e dunque del tutto estranee ai contesti realmente esistenti.

Operando le “sue” riduzioni la scienza moderna, e la didattica condotta nelle scuole, si allontanano sempre più dalla comprensione effettiva dei fenomeni, che hanno comunque a che fare con l’esistenza dell’uomo e con le sue attività, condannandosi a coglierne soltanto alcuni aspetti, spesso soltando secondari.

“Se (…) anche tacitamente, si parte dal preconcetto che la natura nel suo complesso sia un gioco casuale di tipi di materia e di energia, in cui non si esprime nulla di essenziale, si potrà soltanto aspirare a impadronirsi dei suoi dettagli.” (1)

Allora alcune situazioni specifiche, alcuni fenomeni circoscritti, potranno essere posti sotto controllo in funzione dei propri fini. Ma qualsiasi forma di controllo, a prescindere dai propri veri obbiettivi, deve per forza valersi di una semplificazione.

– O –

Se, d’altra parte, il vero obbiettivo dell’attività conoscitiva non è il controllo del mondo ma la sua osservazione, occorre riscoprire, con flessibilità e metodo, il nostro modo di osservare il mondo.

Occorre partire dall’esperienza vissuta ed imparare a svilupparla in modo sempre nuovo, cercando di controllare il nostro personale modo di incontrare il mondo.
Occorre diffidare delle cosiddette realtà obbiettive che si trovano al di là della nostra partecipazione.

L’osservazione fenomenologica e sintetica della natura, che andrebbe scoperta e praticata nelle scuole con semplicità ed immediatezza, non porta con sé subito grandi interpretazioni, ma piuttosto educa la percezione e la riflessione individuale ad un’attenzione qualitativa.

È un’osservazione che fa compiere i primi passi per una comprensione valoriale del mondo e di sé stessi, distinguendosi perciò dalla scienza specialistica che invece si muove in un orizzonte unicamente meccanicistico, e dunque privo di valori più elevati.

Lo scienziato moderno si serve di teorie e rappresentazioni di modelli per ordinare e collegare diverse realtà.
Questi hanno dei limiti di principio e vi sono quindi dei fenomeni che non rientrano nelle loro spiegazioni e contraddicono il modello cui dovrebbero fare capo.

Teorie e modelli costituiscono dunque delle riduzioni e portano con sé dei limiti rispetto a ciò che viene effettivamente osservato, basti pensare alle teoria newtoniana sui colori o alla stessa teoria atomica, in cui vengono proposti dei modelli interpretativi che ipotizzano l’esistenza di particelle che costituirebbero la materia.

Ma si tratta appunto di modelli, non di realtà.
I modelli non giungono mai a comprendere l’essenza della cosa, anche se a volte si ritiene che possano coincidere con essa, ovvero che siano quantomeno necessari per giungere ad essa.

E Il risultato pratico prodotto dalla diffusione di tali credenze è che, dopo l’esperienza scolastica, i giovani studenti finiscono per scambiare interpretazioni di realtà per realtà. E, soprattutto oggi, sarebbe auspicabile che ciò non accadesse.

È giunto il tempo in cui la didattica venga liberata dalle definizioni “veloci”, che vengono costruite con il lessico proprio della meccanica del moto, e che restingono il campo di osservazione soltanto ad alcuni aspetti del fenomeno osservato (la luce come raggio, il suono come onda, ecc…)

La fisica scolastica dovrebbe piuttosto nascere dal basso, con più modestia, senza farsi condizionare dal primato riservato agli aspetti quantitativi dei fenomeni osservati.

All’arte della sperimentazione dovrebbe essere aggiunta l’arte della comprensione (un uso consapevole dei processi cognitivi), liberandosi da un modo di usare il pensiero che spieghi tutti i fenomeni esclusivamente a partire dai processi della materia.

Gli studenti devono poter immergersi nei processi osservati e nelle loro differenti qualità.
L’obbiettività dell’osservazione andrà ricercata non mediante astrazione e separazione ma descrivendo e collegando tra loro, con cautela, i fenomeni.

Anche il linguaggio dovrà essere modificato, rendendolo in grado di esprimere gli aspetti emotivi che nascono dall’attività percettiva e che debbono essere a loro volta oggetto di osservazione.

Allo sviluppo unilaterale delle abilità cognitive, degli elementi e degli obbiettivi didattici andrà collegato il vissuto, che dovrà tener conto degli aspetti animici ed emotivi caratteristici dell’osservazione, unitamente all’attività analitica di pensiero e l’intuizione, collegata alla volontà fattiva propria del desiderio di conoscere.

NOTE :

1) Manfred von Mackensen, “Suono, luminosità, calore”, Edizioni Educazione Waldorf, Zoppè di San Vendemiano (Tv), 2013. Pag. 36.

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