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Era ormai da un po’ di tempo che avevo rinunciato a visitare il Duomo. Per la precisione da quando era stato deciso, per iniziare a sfruttare economicamente l’abbondante presenza di turisti, di dedicare l’accesso sul lato destro della facciata ai visitatori provenienti dalla biglietteria a pagamento, mantenendo il solo portone di sinistra aperto a coloro che intendevano entrare per motivi “religiosi”.

Ma anche da quella parte entrare non era così semplice, visto che dopo una perquisizione effettuata tramite metal-detector, occorreva affrontare una specie di interrogatorio, inscenato dagli addetti alla sicurezza, che volevano sapere il vero motivo per il quale si cercava di entrare nella cattedrale: se non era per turismo voleva dire che si aveva l’intenzione di assistere ad una funzione religiosa. “Tertium non datur”. E quindi se avessi cercato di entrare senza che adducessi uno di questi due motivi per giustificare la mia intenzione, me lo avrebbero probabilmente impedito.

D’altra parte consideravo ingiusta l’idea di dover pagare il biglietto per entrare nel Duomo della città in cui ero nato e cresciuto, e pertanto avevo deciso di escludere la visita alla Cattedrale dall’itinerario delle mie passeggiate domenicali, rivolgendo la mia attenzione ad altri edifici e monumenti, di cui la città non era certo sprovvista.

È stata quindi una inaspettata scoperta quella vissuta nel pomeriggio di Natale quando, dopo essermi spinto fino al sagrato già in cuor mio rassegnato a dover rinunciare ancora una volta alla visita, ho trovato libero accesso al nostro Duomo che, pur presidiato dagli agenti della sicurezza, recava entrambi i portoni laterali aperti per chiunque desiderasse entrarvi, senza che, almeno per quel giorno, vi fossero frapposti ulteriori ostacoli.

A quell’ora, il rito del Natale era quasi del tutto consumato.
Dopo il pranzo tanta gente si era spinta fino al centro cittadino. Le bancarelle ingombravano la piazza e le luminarie, di gusto approssimativo,
facevano da cornice ad incontri casuali, conversazioni distratte, fotografie improvvisate davanti ad immagini note ed a volti forzatamente sorridenti.

La mole biancheggiante del Duomo sembrava impassibile davanti a tanta presenza. Forse a disagio di fronte a tutto quell’apparire ostentato come se fosse verità.
Ma era comunque lì, come ogni giorno, a fare da solida sponda a questo vagare inconsapevole, a questo ritrovarsi tutti insieme pur senza conoscersi, a questo cercare qualcosa senza porsi mai delle vere domande. Manifestando il desiderio di perdersi, magari per qualche ora, nel vortice di un camminare privo di destinazione.

Dentro tutto era diverso.
O forse tutto poteva cambiare, a condizione di lasciare fuori quella parte di sé che era meno adatta a vivere una vera esperienza interiore.
Si doveva entrare col cuore “aperto”, lasciando libera l’anima di vivere le proprie emozioni senza che pensieri e ricordi la opprimessero col loro peso.

Ma ecco lo spazio grande, enorme, della navata centrale, che era così imponente da togliere il fiato.
Ecco le colonne in marmo grigio, disadorne, altissime, che si succedevano scandendo il ritmo di un percorso che portava in alto.
Lassù si affacciavano figure di santi, con le loro storie, che ci parlavano di una dimensione superiore, di un’esperienza sottile che, cominciando da lì, saliva ancora verso il cielo, prendendo nuovo slancio negli archi gotici e nelle “crociere”.
Ai lati, nelle navate minori, le colonne erano più fitte. Quasi a ricreare l’immagine di quella foresta che è la vita in cui sembra di perdersi ogni giorno.
Ma qui non ci si può perdere, perché è chiaro che tutto fa parte di un unico edificio, di un progetto compiuto, che si sta realizzando.

Sì, perché pensandoci, il Duomo è perennemente “in costruzione”.
La sua “
fabbrica è diventata nei secoli, per antonomasia, quell’attività che non cessa mai, che non è mai conclusa, che richiede sempre attenzione.
È un lavoro continuo, per migliorare quello che già c’è ed aggiungere magari qualcosa di nuovo, che serva e che risolva un problema che si è scoperto e che si vuole superare.
Ecco allora i ponteggi, le zone inaccessibili, le transenne, e le luci bianche dei neon, che raffreddano l’anima…
Perché il Duomo è anche l’immagine d
i una sofferenza, di un difficile lavoro interiore, della capacità di resistere.

Qui non è come nelle basiliche romaniche, dove si viene accolti e quasi cullati in un’atmosfera che sembra materna.
Dove i pilastri in mattoni e gli archi a tutto sesto ci fanno sentire protetti e quasi al riparo dalle avversità della vita.
Dove
al cospetto di un ordine superiore, già stabilito, che provvede per noi, ci possiamo “affidare”, riposare, e prendere un respiro di sollievo.

Nel Duomo no, qui si torna in “prima linea”.
Qui non c’è mediazione, e la vita si mostra nella sua verità,
e nella sua durezza.
Qui un destino elevato si erge di fronte a noi. Un destino da compiere, che ci guida verso un bene superiore, che riguarda tutti, nessuno escluso.

Ma il Duomo è anche, e prima di tutto, dedicato a Maria.
A Colei che ha reso possibile ciò che sembrava impossibile: la discesa di un Dio in terra.
A Colei che rappresenta la coscienza di ciascuno di noi
e che renderà possibile anche la nascita e l’affermarsi di ciò che in noi è divino. Del “Cristo in noicome diceva San Paolo. Del nostro Spirito.

E per far questo Ella ci offre la conoscenza, la Sophia degli antichi, la capacità di distinguere e comprendere ad un tempo ciò che è visibile e ciò che non lo è, di tornare a riconoscere la realtà intera, in cui la materia e lo spirito sono parti presenti di un unico progetto.
Perché soltanto innamorandoci della Sophia
noi riusciremo a trasformare in forze nuove ciò che, com’è adesso, è diventato inutile. Ciò che è servito, soltanto, a costruire forze di libertà, che possono ora mettersi al servizio dello Spirito, finalmente presente al centro del nostro essere.

Guardando i fusti delle enormi colonne in marmo che “reggono” il Duomo si riconosce in essi la sagoma di una stella ad otto punte, il simbolo sofianico di Maria.
Ma si tratta in effetti di stelle trasformate, laddove i raggi non sono più appuntiti ma arrotondati.
Non sono più stelle che dardeggiano
raggi luminosi attorno a loro ma fiori ad otto petali, che “vibrano” nei pensieri e nei sentimenti delle persone che sono adesso in grado di compiere l’azione “giusta”, non più egoistica ma volta al bene di tutti.


Persone capaci di esercitare una morale non più prescrittiva ma costruita individualmente, frutto di un lavoro lungo, di crescita interiore, che ha visto un cuore puro unirsi ad una mente finalmente libera di servire il bene, così come la Coscienza, Maria, ci ha ha insegnato e ci ricorda con la sua presenza.

Il Duomo di questa città, è bene ricordarlo, fu dedicato a Maria.

E senza Maria, non dimentichiamolo, non potremmo festeggiare il Natale.

Buone feste a tutti.