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Sebbene anche gli alberi siano degli esseri, proprio come lo siamo noi, sono molte le cose che ci distinguono da loro, e soltanto alcune abbiamo, con essi, in comune.
Osservandoli con attenzione è possibile, col tempo, abituarsi a considerarli al pari di personaggi teatrali, intervenuti sulla scena portando con sé il loro carattere e certe qualità.
Da loro è anche possibile apprendere insegnamenti, spesso semplici, a volte più complessi.
Con loro capita, in certe situazioni, di poter comunicare.

Avevo deciso di chiamarti Giuditta, dopo che ti ho conosciuta, lungo il sentiero che dal limitare del bosco attraversa i campi coltivati.
Forse perché ti ho immaginata femmina, ed indomita, come quella Judith dell’Antico Testamento che mise in gioco con coraggio la propria virtù per salvare il suo popolo da una minaccia incombente.
Sì, coraggiosa mi sei sembrata subito, ed anche disposta, persino, a sacrificare te stessa per un bene superiore, un bene che riguardasse tutti.

Mi domandavo quando fossi nata.
So che voi querce vivete a lungo, e tu potresti avere più di cento anni, anche se ben portati, durante i quali hai raggiunto quell’altezza che ti fa riconoscere da lontano, ed hai allargato i tuoi rami quel tanto che ti è stato possibile.

E quanta storia hai vissuto? Quante cose hai visto accadere, pur non potendoti muovere da dove sei, quasi che tutti gli eventi potessero scorrere accanto a te come portati da un’immaginaria corrente?
E com’è cambiato il mondo da quando, giovane arbusto, tu sei sopravvissuta in mezzo agli altri che avevi attorno ed hai cominciato a crescere?

Guardandoti posso immaginare come, soprattutto all’inizio, siano state tante le difficoltà che hai dovuto attraversare.
Tu che per natura tendi a salire verso il cielo hai dovuto, per qualche motivo, inclinarti da una parte. Hai dovuto chinare il capo di fronte a qualcosa, pur di continuare a crescere, ed attraversare un periodo duro, anche perché carico di incognite.

E chissà quant’è durato quel periodo! Ma tu, pur senza sapere come sarebbe andata, l’hai saputo affrontare ed alla fine, testarda come un mulo, sei riuscita a superarlo.

Quando poi le cose, chissà come, sono cambiate, tu hai cominciato a risollevare il tuo tronco, cercando di raddrizzarlo. E contemporaneamente hai iniziato a dirigere la crescita dei tuoi rami diversamente, in modo che la tua forma cambiasse, che fosse più regolare rispetto a prima e, finalmente, più equilibrata.

Sì, perché tu tendi naturalmente verso l’equilibrio, cercandolo costantemente nella tua stessa forma e modificandola, come se ti ritrovassi a dialogare di continuo con tutto ciò che succede attorno a te.

Così ad un certo punto è successo che qualcuno, non sappiamo quando, ha deciso di tagliare i tuoi rami più bassi liberando lo spazio tutt’attorno ai tuoi piedi.

E così tu ne hai subito approfittato, per slanciarti ancora di più verso quel cielo che tanto desideri ed allargare in alto la tua chioma, per poter vedere ancora più lontano ed in modo da offrire un po’ di ombra più a chi, giù in basso, ne avesse cercata.

Ti ho conosciuta in inverno, quando sembravi, immobile ed attonita, quasi incapace di vivere.
E come chi non ricorda l’estate difficilmente riesce a sopportare l’inverno, così facevo fatica ad accettare quella tua immagine, dimenticando come la tua vitalità fosse tutta nascosta nella terra e, lungo le tue radici, si spandesse fino a chissà dove.

Anche così, spoglia com’eri, mostravi la tua dignità.
La secchezza di alcuni tuoi rami parlava del dolore che avevi sopportato e che ancora ti accompagnava, testimonianza del peso degli anni trascorsi che nessuno, e neppure tu, potevate nascondere.

Piccole foglie consunte, che non avevano voluto staccarsi con le piogge autunnali, ricordavano il dettato delle grandi leggi di natura, che ogni anno regolano la vita delle piante nel rispetto del ritmico succedersi delle stagioni.
Ed ecco, infatti, con l’arrivo della primavera, il puntuale miracolo del risveglio.

Eccoti allora, preceduta sul tempo dagli arbusti rinati attorno ai tuoi piedi, pronta a far vivere i tuoi germogli, così minuscoli eppure decisi nel loro aprirsi in quel mondo pervaso da una luce nuova, quasi a ricordare i raggi lanciati dal primo sole nell’ora del mattino.

Ogni anno tu ricresci su te stessa.
Ogni anno dalla corteccia indurita rinasce una gemma.
Come se il tuo corpo si fosse fatto terra, fuori dal suolo, per far nascere su di sé una nuova vita.

Così il tuo piccolo mondo cominciava a ripopolarsi. Ed esseri di tutti i tipi tornavano a frequentarti facendo vivere quell’atmosfera che, poco prima, sembrava soltanto immersa in un sogno sospeso.

Avvicinarsi a te, in quel momento, significava entrare in quel tuo piccolo mondo che si rinnova ogni anno, ed anzi, sarebbe stato giusto, prima di farlo, chiederti il permesso, pur sapendo bene che non lo avresti negato a nessuno.

Tu sei fatta così, simile alle tue sorelle, ma con il tuo personale carattere.
Tutto quello che fai è destinato a rendere migliore quel tuo mondo, che tu sempre offri agli altri senza chiedere nulla in cambio.

Qualsiasi cosa tu faccia, dalla legna dei tuoi rami all’ombra delle tue foglie, la metti a disposizione di chiunque abbia bisogno, ed anche solo con la tua presenza, con il tuo carattere forte, equilibrato e costante nel tempo, riesci ad offrire sostegno a chi, oppresso dalle incertezze della vita, cerca presso di te quel conforto che altrove non riesce a trovare.

Approfitto allora per ringraziarti, Giuditta, tu e le tue compagne, per quello che state facendo.
Per la capacità che hai avuto di resistere nelle difficoltà, e che hai ancora per continuare a farlo.
Per la disponibilità ad aiutare chi cerca qualcosa e non sa ancora che lo può trovare presso di te.
Per ricordarmi che esiste un mondo, di cui la natura è immagine, per il quale il bene è la prima cosa, ed anche l’unica che dia un senso vero alla nostra esistenza.

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